Diritti

Non è un Paese per bambini

Dalla tragedia in Grecia all’incidente di Casal Balocco, non serve essere genitore per capire che il mondo adulto non sa proteggere i suoi figli
Credit: Shelly Pence
Tempo di lettura 4 min lettura
24 giugno 2023 Aggiornato alle 06:30

Manuel, Kata, Thiago, Alan. Insieme alle bare bianche di Cutro, ai piccoli migranti affondati pochi giorni fa in Grecia con un salvagente inutile perché chiusi nella stiva di una barca maledetta, al primo bimbo ucciso in Ucraina di cui nessuno ricorderà mai il nome. E a un numero che da quando faccio questo mestiere e scrivo di cronaca mi tormenta: quegli 8 milioni di minori che spariscono ogni anno nel mondo. In Italia sono 35 al giorno.

Una doppia maternità a distanza di un decennio mi ha resa una madre con cure parentali prolungate nel tempo: dai 30 ai 60 anni ho avuto e avrò sempre un minore in casa. La mia vita giocoforza passa attraverso il filtro dell’infanzia e dell’adolescenza, una sorta di lente con la quale osservare il mondo da una prospettiva più piccina, ad altezza bambino appunto. E quello che si vede da quaggiù fa decisamente spavento.

Non è necessario essere genitore per capire che il mondo adulto non sa proteggere i bambini, che non c’è sforzo collettivo, non una vera volontà di metterli in salvo sempre e comunque.

Da un paio di settimane, per esempio, si guarda al dito e non alla luna nel caso di Casal Palocco e degli youtuber. La polemica impazza, si dilapidano opinioni sulla pericolosità dei social, sull’inutilità dell’esistere di certi video (che hanno sempre dietro agenzie, talent scout, setacciatori di cazzate sul web ben oltre la maggiore età), si attendono perizie e si minacciano leggi contro la deregulation.

Ma il peggio non è finito. Si scrivono e si affermano cose tipo “gli incidenti stradali ci sono ogni giorno”, nascondendo sotto il tappeto l’unica vera grande tragedia di cui siamo impotenti spettatori: Manuel non crescerà più, Manuel non c’è più.

Caro adulto che leggi, ma non la senti anche tu la fitta che ti si conficca nel petto quando sai che un bambino come tuo figlio, come tuo nipote, come il piccolo che magari vive vicino a te non diventerà mai un ragazzino, un teenager scontroso, non avrà mai due piedi lunghissimi che escono da un letto che non li contiene più? Non sarà mai fratello di una sorella, figlio di una madre e di un padre, amico di tanti amici, amante di qualcuno?

Sparirà dal nostro file di ricordi Manuel, e la cosa più triste davvero è che è già dimenticato. Consumiamo notizie e tragedie come fossero caramelle, le “scrolliamo” via per levarcele di dosso perché l’incomprensibile è una coperta che appesantisce e d’estate poi si va in vacanza e la voglia di leggerezza, si sa, impera.

Ma nemmeno la scomparsa di Kata anima più di tanto. Le lacrime facili di una madre in tv hanno sempre l’effetto opposto nell’opinione pubblica, insinuano il sospetto, al posto di avvicinare allontanano. Qualcosa non torna, è come se si sentisse dire. Peccato che al momento a non tornare sia una bambina molto piccola, molto sola, molto straniera e molto meno a misura di campagne social dal doppio, triplo binario.

Il dito indica Kata, ma tutti siamo lì a setacciare l’albergo abusivo, la comunità che la abita, le faide tra i clan, le dirette a Chi l’ha visto?, il coro di incattiviti di strada fisso di Rete 4. Intanto, Kata non c’è.

E non c’è mai stato nemmeno Thiago, il bimbo mai nato di Giulia, uccisa a Senago dal compagno con una trentina di coltellate come a volerla cancellare, punire, maledetta che sei al mondo, le avrà urlato. Insieme a Giulia c’era il suo bambino a un passo dalla luce del giorno e dalla vita. Era dentro il luogo più amato che possa esistere.

Fino a oggi, quando ci siamo resi conto che nemmeno lì, nemmeno dentro la pancia della mamma così come dentro la stiva che sarebbe stato bello immaginare come il ventre della balena di Pinocchio, i nostri bambini sono più davvero al sicuro.

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