Economia

L’eterna fuga dei giovani (dal Sud)

Nell’Italia delle disuguaglianze, cercano migliori opportunità al Nord. Perché continuiamo a sottostimare il capitale che le nuove leve, soprattutto laureate, potrebbero rappresentare per il Paese?
Credit: Anna Sullivan
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
20 giugno 2023 Aggiornato alle 06:30

Sarò io, ma quando leggo i dati sulle persone giovani che, nel nostro Paese, sono costrette a emigrare, mi sento a disagio. E colpevole. Non individualmente, magari, ma come appartenente a una generazione che non è stata in grado di costruire un Paese accogliente e che sapesse dare opportunità e prospettive.

In linea generale, mi succede sempre quando esce il Report annuale di Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati. Quest’anno, poi, è andata perfino peggio del solito, perché il Report presenta un approfondimento sui movimenti migratori legati sia al percorso di studio che alla ricerca di un lavoro. E i dati non sono incoraggianti.

Iniziamo subito: il 28,6% delle persone giovani del Sud Italia migra verso il Centro e il Nord per affrontare il proprio percorso universitario. Una dinamica che, nel corso degli ultimi anni, è perfino in crescita: basti pensare che, nel 2013, questa quota si fermava al 23,2%. E, in effetti, gli Atenei del Centro-Nord raccolgono i favori anche degli studenti provenienti dall’estero, dal momento che vengono scelti dal 92,1% del totale.

Ma torniamo al piano nazionale. Le migrazioni interne per motivi di studio fanno sì che il saldo migratorio misurato stimando il luogo in cui si è conseguito il diploma e quello in cui si è ottenuta la laurea è positivo per il Nord e il Centro, aree nelle quali ammonta rispettivamente al +23,2% e al +19,9%. Per il Sud del Paese, invece, è negativo e arriva al-26,2%.

È una ricerca di migliori opportunità, in cui si interseca una questione che non è solo legata alla tradizionale ripartizione Nord-Sud del Paese, ma che si determina anche rispetto alla fuga dalle aree interne.

I giovani che si diplomano nel Mezzogiorno risiedono con maggiore frequenza nelle aree interne rispetto a quelli del Centro e del Nord. Parliamo di un 31% a fronte del 14,3% e dell’8,4%. Quindi lo spopolamento avviene dal Sud, ma soprattutto dalle aree interne del Sud. E infatti, oltre il 50% delle iscrizioni ai corsi di laurea magistrale avviene in cinque grandi città: Roma, Milano, Bologna, Napoli e Torino.

La migrazione per studiare all’università è spesso un processo irreversibile. Mi spiego meglio: dalle aree interne del Sud ci si allontana per studiare. Ma, una volta che il percorso formativo è terminato, non ci si fa più ritorno. E questa dinamica viene fotografata con precisione e lucidità nel Rapporto Almalaurea.

A un anno di distanza dal momento della laurea di secondo livello, il 47,5% dei giovani del Sud lavora in un’area geografica diversa rispetto a quella di residenza. Nel 32,3% dei casi, si sceglie il Nord. E chi invece nel Nord risiede? Si sposta solo nel 6,1% dei casi (sempre considerando i dati sui laureati di secondo livello). E peraltro, sceglie prevalentemente di andare all’estero.

Secondo la London School of Economics, nel 2022 ogni 100 persone giovani in Italia, quasi 11 hanno deciso di lasciare il Paese. Dal 2015, la Lse stima una perdita di circa 50.000 persone giovani. E confermo che è una perdita, perché insieme a loro se ne sarebbero andati circa 14 miliardi di Euro di Pil che hanno prodotto in altri Paesi. E da dove si parte per emigrare? Vi faccio qualche esempio: a Enna, su 1.000 abitanti, nel 2022 sono emigrate 523 persone. Ad Agrigento, 388 (sempre su 1.000).

Non so a voi, ma a me questi dati rimandano l’immagine di un Paese in cui alcune generazioni continuano a sedere arroccate sui propri privilegi, che sono talmente consolidati e indiscussi da non essere a volte neppure riconosciuti. E mentre siamo impegnatissimi a discutere, per l’ennesima volta in 30 anni, sul ponte sullo Stretto (si deve fare? Non si deve fare? Non lo so, ma ho assistito alle stesse conversazioni per gran parte della mia vita da adulta), rischiamo forse di perdere di vista che questo è un Paese che purtroppo naviga con una certa nonchalance nelle disuguaglianze crescenti.

Un esempio su tutti: la quota di persone laureate fra gli stranieri figli di immigrati che risiedono in Italia, negli ultimi anni sempre cresciuta, è ora in calo di oltre il 6%. A poter cercare migliori opportunità formative e lavorative sono soprattutto gli uomini: secondo Almalaurea, le donne continuano a essere più stanziali (ed a perdere opportunità). E a cercare un lavoro più soddisfacente anche lontano dal proprio luogo di origine sono soprattutto i figli di famiglie culturalmente più avvantaggiate.

Insomma, citando un emerito scomparso di questi giorni, mi pare che siamo ancora il Paese nel quale “il figlio dell’operaio non può fare l’avvocato”.

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