Diritti

I giovani non hanno il dovere di salvarci

Professori che chiamano le studentesse “polpettina” e dirigenti che li spostano di sede, offrendo loro nuove prede: accade a Cosenza. Ma è il nostro fallimento come adulti
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9 febbraio 2022 Aggiornato alle 08:00

Il segno inconfondibile di una generazione che fallisce è l’appello agli adolescenti perché salvino il mondo e riescano lì dove i loro genitori si sono scocciati di provare a risolvere i problemi, o non hanno voluto, o non ne sono stati capaci, ma principalmente la prima. Per cui mi asterrò dal tessere le lodi delle ragazze dell’istituto Valentini-Majorana di Castrolibero, provincia di Cosenza, in qualità di salvatrici del mondo e della dignità delle donne. Queste ragazze, che hanno denunciato le molestie subite da parte di alcuni insegnanti, l’hanno fatto prima di tutto per sé stesse, ed è giusto così. Come sempre, ci vorranno i soliti tre gradi di giudizio per stabilire l’entità del reato, ma in questi casi – e dato che gli insegnanti coinvolti sarebbero più di uno, oltre alla dirigente scolastica, accusata di avere insabbiato il tutto – sembra chiaro che le molestie ci siano state, e pure pesanti.

Una cosa che questi anni ci hanno insegnato è che non sempre la verità umana viene riconosciuta da una sentenza, soprattutto quando la giurisprudenza fatica a riconoscerla, quella verità umana. Per cui non è detto che i fatti raccontati dalle studentesse del Valentini-Majorana (che pure, in qualche caso, si sono trasformati in denunce alle autorità) portino a una condanna. Ma anche così, sospesi fra un profilo Instagram aperto per raccogliere testimonianze e che gela il sangue a qualsiasi adulto provvisto di senso della decenza, e l’occupazione della scuola che ha fatto emergere il caso a livello nazionale, gli aneddoti narrati sono sufficienti a tracciare un quadro in cui il punto non è l’eroismo di chi lotta, ma la pochezza esistenziale e umana degli adulti che hanno creato questa situazione. Fra professori che ti chiamano “polpettina” e “bella cavalla” e dirigenti scolastiche che invece di sanzionarli o denunciarli li spostano di sede, offrendo loro nuove prede, il problema è proprio il nostro fallimento come persone incaricate di crescere e sostenere le nuove generazioni.

La scuola dovrebbe essere un ambiente sicuro, ce lo siamo ripetuti tante volte, ultimamente. Il mondo dovrebbe esserlo, soprattutto per chi è molto giovane. E invece no: fra ragazzi spediti a fare tirocinio in cantieri non a norma (nove su dieci fra i cantieri edili, secondo l’Ispettorato del Lavoro), studenti e studentesse manganellati senza motivo apparente per aver protestato in maniera pacifica e ora questa storia, che si inserisce fra altre storie di proteste ma è del tutto diversa, perché ha a che vedere con il corpo e la sessualità delle ragazze. È una minaccia molto specifica e allo stesso tempo onnipresente: non esiste posto in cui le donne, giovani o vecchie, siano mai davvero al sicuro. Le violenze possono avvenire ovunque, per strada, a casa di amici (e i giornali titoleranno “Festino a base di alcool”, come se a stuprarti fossero gin e vodka e non persone di cui ti fidi), persino sulle ambulanze. Nel frattempo, gli adulti cosa fanno? Lanciano petizioni per mettere fuorilegge lo schwa (no, il link non ve lo metto, cercatevela).

Qua la cosa che facciamo finta di non vedere è che questi ragazzi e queste ragazze ci stanno dicendo che facciamo schifo, e lo stanno dicendo proprio a noi, ai quaranta-cinquantenni che dovrebbero prendere in mano le redini del Paese e invece si appoggiano ancora allo strapotere dei settanta-ottantenni, se ne fanno scudo per non vedere la loro (la nostra) cronica mancanza di idee rese applicabili dall’esperienza, la nostra fine. Altro che lodi, inni e peana allo spirito dei giovani: qua ci vuole l’autocritica, immediata, rigorosa e irreversibile nelle conseguenze.

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di Cristina Sivieri Tagliabue 2 min lettura