Culture

Il doppio sguardo narrativo delle seconde generazioni

Nel libro autobiografico Addio, a domani, Sabrina Efionayi racconta delle sue due madri, una nigeriana e una napoletana, e della complessità di un’esistenza in bilico tra due culture
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18 giugno 2023 Aggiornato alle 10:00

Quando si parla di seconda generazione si intende quella composta da cittadine e cittadini nati in Italia da persone migranti.

Sono oltre un milione, secondo gli ultimi dati Istat. Bambine e bambini, ragazze e ragazzi portatori di due o più culture, quella di provenienza dei genitori e quella del luogo in cui nascono, crescono, frequentano le scuole.

Una condizione talvolta complessa che viene raccontata da molte scrittrici e scrittori di seconda generazione che, attraverso la narrazione letteraria, indagano la propria identità.

Un tassello di questo filone è rappresentato dal libro autobiografico Addio, a domani (Einaudi, p.192, 16€) di Sabrina Efionayi, 23enne di origine nigeriana nata a Castel Volturno, in provincia di Caserta.

Il suo è un doppio sguardo, che unisce il punto di vista culturale a quello individuale perché Efionayi racconta delle sue due madri: Gladys, madre biologica arrivata in Italia dalla Nigeria a 19 anni quando non sapeva che il lavoro che avrebbe svolto per sostenere la sua famiglia rimasta a Lagos sarebbe stato quello di vendere il proprio corpo; e Antonietta, napoletana, che non immaginava che un giorno Gladys le avrebbe messo in braccio Sabrina, chiedendole di occuparsi di lei e di diventare sua madre.

L’autobiografia è un viaggio introspettivo dell’autrice in costante movimento tra Castel Volturno e Scampia, Prato e Lagos, cambiando lingua, famiglia mentre fa i conti innanzitutto con la complessità racchiusa nel nome che porta: Sabrina, come la figlia dell’aguzzina di Gladys, scelto per compiacerla e Efionayi, come un uomo che non è suo padre, ma che le ha dato un cognome. E con quel disagio che nasce dall’essere troppo italiana per la sua famiglia del Laos e troppo africana in Italia.

È una storia di crescita e ricerca, dai toni sommessi e mai urlati, che pone una riflessione anche sulle vittime di tratta come Gladys, che negli ultimi anni ha raggiunto livelli allarmanti, diventando uno dei reati tra i più gravi a livello mondiale, nonché una delle forme di schiavitù moderna più diffusa del ventunesimo secolo, come lo ha definito l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni.

Le vicende dell’autrice si inseriscono nella letteratura della diaspora postcoloniale: un fenomeno nuovo per l’Italia rispetto ad altri Paesi europei perché esploso da pochi anni.

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