Bambini

La vita di 1 milione di bambini potrebbe essere salvata

Secondo un nuovo studio, per evitare le morti neonatali e in utero in 81 Paesi del mondo basterebbe adottare alcune semplici misure come fornire alla donne in gravidanza vitamine e medicine essenziali
Credit: Cottonbro studio
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27 maggio 2023 Aggiornato alle 11:00

In un mondo ideale tutte le madri dovrebbero avere accesso in gravidanza a vitamine, farmaci di prima necessità e cure preventive per la salute propria e dei bambini che hanno in grembo. Così però non è in decine di Paesi poveri e questo porta a numerose morti infantili.

Un “disastro silenzioso per la salute pubblica”, come spiega uno studio pubblicato su The Lancet dedicato a tutti quei neonati vulnerabili, nati troppo presto o troppo piccoli e che, secondo gli autori, potrebbero essere aiutati con un piccolo sforzo.

In totale sono oltre 1 milione le vite che potrebbero essere messe in salvo ogni anno. Secondo la ricerca 476.000 morti neonatali (che avvengono nel primo mese di vita del bambino) e 566.000 in utero (dopo 28 settimane di gravidanza) sarebbero infatti evitabili se venissero implementate alcune misure sanitarie prenatali a basso costo in 81 Paesi a basso e medio reddito.

Con una spesa totale stimata di poco più di 1 miliardo di dollari, si potrebbe impedire anche che 5,2 milioni di bambini ogni anno nascano prematuri, con una crescita inferiore rispetto all’età gestazionale o con basso peso alla nascita.

Lo studio è stato pubblicato più o meno in coincidenza con un report delle Nazioni Unite che avverte che i progressi globali nella riduzione delle morti neonatali e in utero si sono arrestati dal 2015, anche a causa della diminuzione degli investimenti nei servizi sanitari dedicati alla salute materna e dei neonati prima e dopo la nascita.

È vero che negli ultimi 30 anni (tra il 1990 e il 2020) il numero di morti entro i primi 28 giorni di vita è più che dimezzato, ma le possibilità di sopravvivenza dei bambini variano ancora molto a seconda del luogo in cui nascono: secondo i dati della World Health Organization (Who), l’Africa subsahariana nel 2020 ha avuto il tasso di mortalità neonatale più alto (27 morti su 1000 bambini nati vivi), seguita dall’Asia centrale e meridionale (23 morti su 1000). Le ultime stime disponibili ci dicono che nel mondo si contano 2,4 milioni di morti neonatali e 1,9 milioni di morti in utero all’anno.

Lo studio su The Lancet, però, lascia ben sperare per la futura sopravvivenza di molti bambini. Gli interventi preventivi raccomandati (alcuni già inclusi nelle linee guida della Who) sono la disponibilità per le donne in gravidanza e post-parto di integratori di vitamine, zinco, calcio e omega-3 e di farmaci indispensabili come l’aspirina, oltre alla sensibilizzazione riguardo all’importanza di smettere di fumare e alla cura dei batteri nelle urine, fino al trattamento della sifilide e alla prevenzione della malaria.

Come racconta il Guardian, quasi tutte queste misure sono già state adottate da tempo nei Paesi ad alto reddito, mentre in molti altri luoghi non vengono usate regolarmente, soprattutto in zone come l’Afghanistan e il Sud Sudan in cui i sistemi sanitari risentono delle emergenze umanitarie. Il report dell’Onu informa che, nei Paesi con più morti neonatali, meno del 60% delle donne riceve almeno 4 dei trattamenti raccomandati dalla Who.

Secondo l’autore principale della ricerca, Per Ashorn, professore di pediatria alla Tampere University in Finlandia, «abbiamo già a disposizione le conoscenze per invertire l’attuale tendenza e salvare le vite di migliaia di bambini ogni anno al costo di 1,1 miliardo di dollari, una frazione soltanto di quello che altri programmi sanitari ricevono».

Incoraggiando governi nazionali, partner e donatori a intervenire e fare investimenti con la massima priorità, ricorda che «nonostante diversi obiettivi e impegni globali siano stati presi dal 1990 per ridurre le nascite pretermine, con basso peso o scarsa crescita, un bambino su 4 nel mondo nasce troppo piccolo o troppo presto». E ciò, come si legge nello studio, “è un pericolo per i diritti umani, la salute pubblica, l’economia e lo sviluppo. Non affrontando questa priorità, stiamo mettendo a repentaglio il nostro futuro collettivo.

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