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Ogni 2 minuti una donna muore per gravidanza o parto

Lo rivela il rapporto dell’Oms Trends in maternal mortality 2000 to 2020”. In Europa, tra il 2016 e il 2020, il numero di donne incinte decedute ogni 100.000 nascite è aumentato del 3,8% l’anno
Credit: Cottonbro studio
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
2 marzo 2023 Aggiornato alle 20:00

Una donna muore ogni due minuti per complicanze legate al parto e alla gravidanza. Lo rivela il nuovo rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) che ha preso in esame le morti delle donne per parto o gravidanza in un lasso di tempo di vent’anni: secondo Trends in maternal mortality 2000 to 2020 circa 800 donne, nel 2020, sono morte per questi motivi. E il tasso di mortalità materna è aumentato o è rimasto stabile in quasi tutto il mondo.

Nonostante uno degli obiettivi dei Sustainable Development Goals, definiti dalle Nazioni Unite come strategia per ottenere un futuro migliore e più sostenibile per tutti, sia di ridurre la mortalità materna a meno di 70 decessi materni ogni 100.000 nati vivi entro il 2030, si tratta di risultati ancora molto distanti dalla realtà.

Secondo l’Oms i progressi nella riduzione dei tassi di mortalità materna si sono arrestati in gran parte del mondo e, in alcune regioni, stanno addirittura peggiorando.

Il rapporto pubblicato a febbraio mostra che nel 2020 ci sono state circa 287.000 morti materne in tutto il mondo.

Si tratta di una diminuzione rispetto alle 309.000 del 2016, quando gli Sdg sono entrati in vigore, ma questi progressi si sono invertiti in due delle otto regioni geografiche delle Nazioni Unite: Europa e Nord America e America Latina e Caraibi. Qui, tra il 2016 e il 2020, il tasso di mortalità materna è aumentato rispettivamente del 17% e del 15%.

Le principali cause di morte sono emorragie gravi, ipertensione, infezioni legate alla gravidanza, complicazioni da aborto non sicuro e condizioni che possono essere aggravate dalla maternità, come l’HIV/AIDS e la malaria. Si tratta di condizioni in gran parte prevenibili e curabili, se venisse garantito l’accesso a un’assistenza sanitaria di alta qualità.

Dove si verificano maggiormente questi decessi? Nelle parti più povere del mondo e nei Paesi colpiti da conflitti.

Circa il 70% delle morti materne del 2020 è avvenuto nell’Africa subsahariana, dove 1 donna su 40 muore durante la gravidanza o il parto.

Qui, spiega l’Economist, molte non hanno accesso all’assistenza sanitaria per affrontare le complicazioni, quando si presentano.

In questa regione, poi, il matrimonio precoce è molto comune: in alcune zone il 20% delle donne partorisce prima dei 16 anni: questo aumenta il rischio di gravi complicazioni.

Eppure, tra il 2000 e il 2015 i tassi di mortalità materna in tutta l’Africa erano diminuiti di circa il 2,2% ogni anno.

Ma, dal 2016, il calo annuale si è ridotto all’1,7%, registrando una sorta di stallo.

Anche in Asia i progressi si sono arrestati: dopo una diminuzione di più del 60% dal 2000, dopo il 2016 i miglioramenti annuali sono stati circa un terzo di quelli registrati fino al 2015.

Non è chiaro quali siano le ragioni: il 2020 è stato influenzato dalla pandemia, che ha indubbiamente reso la gravidanza più pericolosa, a causa del rischio di infezione da Covid-19 e della pressione che ha esercitato sulle strutture sanitarie. Ma gli esperti di salute pubblica non sono ancora riusciti a determinare quali altri fattori siano entrati in gioco nei quattro anni precedenti.

Con la pandemia l’America Latina e i Caraibi hanno registrato un aumento della mortalità, dopo oltre un decennio di miglioramenti: molti Paesi della regione hanno sospeso o limitato l’accesso ai servizi di salute materna nel 2020.

Ma l’aumento maggiore è stato registrato in Europa, nonostante sia ancora di gran lunga la regione più sicura per essere incinta o partorire. L’America è un’anomalia tra i Paesi più sviluppati, perché l’incremento dei tassi di mortalità è sempre stata costante negli ultimi due decenni, non solo dal 2016.

Ma mentre la mortalità materna è rimasta stagnante in 133 Paesi e ha registrato un aumento significativo in 17 - di cui 7 si trovano in America Latina e Caraibi, 3 in Europa e Nord America e 3 nell’Africa sub-sahariana -, il rapporto ha rilevato che il progresso è possibile: lo dimostrano Australia, Nuova Zelanda e Asia centrale e meridionale, che hanno registrato cali molto significativi, del 35% e del 16%. Così come 31 paesi in tutto il mondo.

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