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Spina bifida: l’intervento in utero fa la differenza

Le nuove frontiere della chirurgia fetale consentono di intervenire in maniera tempestiva sul feto. Migliorando la vita a migliaia di nascituri affetti da malformazione congenita
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14 gennaio 2023 Aggiornato alle 18:00

Alcuni bambini lottano per la propria salute ancor prima di venire al mondo. È il caso di quelli affetti da spina bifida, malformazione congenita provocata da un difetto nello sviluppo della colonna vertebrale e del midollo spinale che causa un’incompleta chiusura delle parti che costituiscono il canale spinale. Una condizione che, se non correttamente trattata, può portare a esiti infausti e danni permanenti.

La spina bifida è caratterizzata da uno spettro di gravità molto ampio: si passa dalle forme più gravi, le spine bifide aperte, con erniazione all’esterno del midollo e delle radici nervose; a quelle meno gravi ma difficilmente diagnosticabili in gravidanza, le forme occulte.

Nei casi più gravi l’unica possibilità per abbassare il tasso di mortalità e diminuire la percentuale di danni neurologici è procedere con un delicato intervento chirurgico, che risulta maggiormente risolutivo se effettuato ancor prima della nascita del bambino, intervenendo quindi direttamente in utero. Operare il feto aumenta infatti la possibilità che il bambino possa poi camminare e riduce rischi di idrocefalo e danni neurologici a lungo termine.

Se fino ad alcuni anni fa l’unica opportunità terapeutica per piccoli affetti da spina bifida era l’intervento da neonati, solo a gravidanza terminata, la nuova frontiera della chirurgia fetale permette quindi di anticipare l’intervento e anche se far operare il proprio figlio prima ancora che nasca può sembrare una scelta estrema, la tempestività è determinante per garantire una prognosi migliore per il nascituro e dar vita a nuove speranze per gli stessi genitori.

I risultati conseguiti da bambini operati in utero rispetto a quelli sui quali si è intervenuto solo post partum non sono, infatti, sovrapponibili. Gli studi mostrano chiaramente come quelli con spina bifida operati con chirurgia fetale abbiano riscontrato minori conseguenze neurologiche dopo la nascita e vedano incrementare sensibilmente le proprie possibilità di recupero.

Il motivo è che la caratteristica di queste malformazioni è di peggiorare progressivamente durante il prosieguo della gravidanza, aumentando esponenzialmente la conseguente gravità della connessa disabilità. Intervenire, invece, sul feto permette alla madre di portare a termine la gravidanza ampliando, al contempo, le prospettive future del bambino. Il processo di riparazione posto in essere dall’intervenuto chirurgico continua, infatti, durante le successive settimane di gravidanza, indirizzando le funzioni neurologiche del bambino.

L’intervento fetale per spina bifida non è però cosa semplice: durante la procedura si espone l’utero e lo si svuota dal liquido amniotico, per evitare che il feto fluttui durante la procedura. Si arriva poi al dorso fetale, per intervenire sul difetto spinale, e si esegue una correzione della malformazione congenita attraverso l’utilizzo di strumenti di microneurochirurgia all’avanguardia.

Quello che conta non è solo la capacità chirurgica dell’operatore ma l’approccio multidisciplinare all’intervento nella sua interezza, la cui buona riuscita è il risultato di una vera e propria sinergia tra professionisti d’eccellenza in campo pediatrico, ginecologico, neurologico e chirurgico.

Non esistono certezze granitiche sugli esiti fausti per il feto operato una volta che questo sia nato e cresciuto, ma le evidenze degli ultimi anni sono incoraggianti e la tempestività dell’intervento appare davvero determinante.

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