Ambiente

Climate change: il 93% dei Paesi più esposti rischia di indebitarsi

Secondo l’analisi di Actionaid, The vicious cycle, dedicata al rapporto che esiste tra crisi del debito e climatica, 9 Stati sono già in pericolo. Una condizione che colpisce soprattutto il Sud del mondo
Credit: EPA/HANNIBAL HANSCHKE
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17 aprile 2023 Aggiornato alle 13:00

Esiste una spirale soffocante tra debito e crisi climatica, un circolo vizioso che fatica a lasciare scampo.

L’ultimo rapporto di Actionaid che esamina il rapporto tra debito e clima si chiama proprio The vicious cycle, come a sottolineare quanto la nostra società sia in preda a una corsa senza fiato su una ruota che ormai rischia di scardinarsi. Anche il report dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), pubblicato l’anno scorso, afferma: “Per evitare una crescente perdita di vite umane, biodiversità e infrastrutture, è necessaria un’azione ambiziosa e accelerata per adattarsi ai cambiamenti climatici”.

Un bisogno, quello di azioni tempestive di adattamento, che pressa soprattutto i Paesi più vulnerabili, gli stessi che sono sommersi dai debiti esteri e faticano a mettere in campo azioni strutturali di contrasto agli enormi impatti della crisi climatica.

Analizzando le diverse fonti di dati relative al rapporto tra clima e debito, sono emersi risultati preoccupanti. Secondo il report di Actionaid, ben il 93% dei Paesi è a rischio significativo di indebitamento; 9 Stati sono estremamente a repentaglio, tra cui Somalia, Malawi, Mozambico, mentre altri 40 affrontano minacce medio-alte; solo 5 Nazioni hanno un livello di rischio definibile come “basso”; la maggior parte dei Paesi a rischio medio-alto sono obbligati a ripagare il debito, prima di utilizzare le proprie entrate per altri servizi; di conseguenza, chi arriva a spendere il 12% per l’indebitamento deve rinunciare a investire denaro nei servizi pubblici cruciali; chi utilizza fino al 14% della spesa pubblica, poi, probabilmente non riuscirà mai a risarcire i creditori.

Ben 38 dei 63 Paesi più vulnerabili al clima stanno già spendendo così tanto per il servizio del debito che probabilmente taglieranno la spesa per i servizi pubblici, rendendo impossibile investire in una transizione giusta. Come spesso accade, poi, le principali vittime di questa crisi sono le donne, le prime a perdere l’accesso ai servizi pubblici così come i posti di lavoro e le cure gratuite.

La maggior parte degli Stati a basso reddito hanno un ruolo servile nei confronti dei Paesi ad alto reddito, situazione che accentua ancora di più il debito nei confronti del clima. Infatti, modellando le loro economie per servire il mercato globale e guadagnare in valuta estera (l’unico modo per saldare il debito) sono costretti a investimenti in settori “insostenibili” (agricoltura industriale, esportazione di olio di palma o soia, industria estrattiva), ambiti che ovviamente accrescono la crisi climatica.

È questo il circolo vizioso, il serpente che impedisce l’adattamento e la transizione di questi Paesi verso giungle più verdi.

Le richieste dei Governi del Sud del mondo e dei movimenti per la giustizia climatica dovrebbero perciò essere focalizzate su una nuova architettura globale del debito e sulla sua cancellazione, tramite la rimozione degli oneri degli obblighi esteri e i successivi investimenti in una transizione più giusta, equa ed egualitaria.

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