Culture

L’arte è roba da donne

Prima pagina Instagram poi podcast, il progetto @thegreatwomenartists di Katy Hessel rilancia i lavori di centinaia di artiste rimaste ai margini fin dal ‘500 e ora raccolte nel voluminoso La storia dell’arte senza gli uomini
Credit: via harpersbazaar.com  
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8 aprile 2023 Aggiornato alle 20:00

Anguissola, Sirani, Peeters, Kauffmann. Ti dicono qualcosa questi cognomi di artiste? Probabilmente no. Ma se nominassimo Giotto, Delacroix, Manet, Picasso non avresti dubbi sulla loro fama né sul mestiere che li ha consacrati. Le loro opere sono in tutti i più grandi musei, collezioni, chiese e gallerie del mondo, nonché su qualsiasi manuale di studio per le scuole.

Che l’arte non sia mai stata “roba da donne”? Che il genio della pittura e della scultura sia appartenuto solo agli uomini, per tutti questi secoli? La risposta, oggi, è ovvia: la prospettiva maschile non solo ha accuratamente escluso dai musei le artiste e le pioniere che riuscirono a emergere, ma fin dal Rinascimento le ha tenute lontano da botteghe e luoghi culturali dove il loro genio artistico poteva crescere e accreditarsi tra i mecenati. Basta pensare che solo nell’800 le donne ottennero il permesso di studiare il nudo dal vero e poterono abbandonare la monotona raffigurazione di nature morte.

In epoca contemporanea, non va granché meglio: nel 2019, nelle collezioni di 18 tra i più importanti musei d’arte statunitensi, l’87% delle opere era realizzata da uomini e l’85% da artisti bianchi. A tutt’oggi, le donne sono l’1% della collezione della National Gallery di Londra, che solo nel 2020 ha organizzato la prima mostra dedicata a un’artista del passato, Artemisia Gentileschi.

Anche la Biennale di Venezia ha aperto le porte solo nel 2022 a donne nere in rappresentanza degli Stati Uniti (Simone Leigh) e del Regno Unito (Sonia Boyce), mentre la Royal Academy of Arts dedicherà per la prima volta a settembre 2023 una personale alla geniale Marina Abramović.

Come siamo arrivati a tutto questo? È la domanda che si è posta la storica dell’arte Katy Hessel nel 2015 durante una fiera, quando ha realizzato che tra le opere esposte nessuna era stata creata da una mano femminile. «Possibile?» ha continuato a chiedersi nella notte, e il giorno dopo, frustrata da una assenza così macroscopica, ha lanciato su Instagram il progetto @thegreatwomenartists, omaggio alla storica Linda Nochlin che per prima negli anni ’70 sollevò il tema nel saggio Perché non ci sono state grandi artiste? (rieditato nel 2019 da Castelvecchi).

Da quel giorno Hessel ha pubblicato un post al giorno per ridare la giusta fama a pittrici, scultrici, fotografe, professioniste tenute in ombra dalla storia passata, recente e attualissima. Il suo lavoro è diventato poi un podcast e, sette anni dopo, un voluminoso saggio di 500 pagine intitolato La storia dell’arte senza gli uomini (Einaudi).

«Non credo che nelle opere realizzate da artisti di qualunque genere sessuale si trovi qualcosa di intrinsecamente diverso. - scrive Hessel - Piuttosto, è stata la società, e i suoi guardiani, che hanno sempre assegnato il primato a un gruppo. E io credo sia di importanza vitale affrontare e mettere in discussione questo stato di cose».

Hessel sottolinea come si stiano facendo molti progressi in questi anni, grazie a uno sforzo collettivo di artiste, studiose e curatrici di tutto il mondo salite anche nella gerarchia museale. È il primo caso nella storia, infatti, in cui le donne si trovano alla guida della Tate Modern, del Louvre e della National Gallery of Art di Washington per esempio. E anche nel nostro Paese sono più di 20 le manager che dirigono istituzioni culturali e musei (nel 2022 sono state anche ritratte dal fotografo Gerald Bruneau in una mostra a Palazzo Reale).

Ma la strada è ancora lastricata di trappole, se per esempio pensiamo al prezzo più alto spuntato da una donna artista in asta, Propped di Jenny Saville del 1992, che ammontava al 12% del prezzo raggiunto da un artista vivente di sesso maschile, Ritratto di un artista (Piscina con due figure) di David Hockney del 1972, venduto nel 2018 per 90,3 milioni di dollari. Una legge del mercato spietata che era già in voga tra i commercianti d’arte ottocenteschi, noti per raschiare via dalle tele le firme delle artiste a favore di nomi di contemporanei maschi.

Il voluminoso libro di Katy Hessel prende in esame le artiste dal Cinquecento a oggi e sarà una vera sorpresa conoscerle. Dalla miniaturista che divenne santa Caterina de’ Vigri (1413-1463) alla scultrice ribelle Properzia de’ Rossi (1490-1530), entrambe vissute in una città, Bologna, che unica tra poche incoraggiava il talento artistico femminile. Scoprirai anche che esiste una tela chiamata L’ultima cena, a opera della monaca Plautilla Nelli, datata 1560, che è la prima raffigurazione nota di quell’episodio biblico dipinta da una donna. Dal 2019 il quadro si può ammirare al refettorio di Santa Maria Novella a Firenze: è stato restaurato e reso visibile al pubblico dopo “soli” 450 anni.

E poi: fu la francese Rosa Bonheur a eseguire il più grande dipinto che avesse per soggetto gli animali. Il suo Mercato dei cavalli, realizzato tra 1852 e 1855, era alto due metri e largo cinque e venne persino richiesto in visione a Buckingham Palace dalla regina Vittoria d’Inghilterra. A Bonheur fu concesso di vestire abiti maschili per visitare le fiere di cavalli, necessarie per studiare i suoi soggetti preferiti e che all’epoca erano vietate al pubblico femminile.

E ancora: avresti mai considerato il quiltmaking come una vera arte? Praticata dalle donne di tutto il mondo, la realizzazione della trapunta fatta a mano aveva usi pratici, politici, educativi e sociali. Le coperte venivano usate per raccogliere fondi per cause abolizioniste e femministe, per veicolare messaggi di emancipazione e tramandare storie. La testimonial più importante di questa arte fu l’insegnante di scienze afroamericana Ellen Harding Baker, nata in schiavitù, che realizzò l’ipnotica Trapunta del sistema solare nel 1876, seguita dalla Trapunta della Bibbia. Baker rimase sconosciuta fino agli anni ’70 del Novecento.

Man mano che ci si avvicina all’epoca moderna, è facile inciampare in artiste che hanno conquistato la ribalta e sono diventate delle icone come Tamara de Lempicka, Frida Kahlo, Georgia O’Keeffe, Tarsila do Amaral (la più importante artista modernista brasiliana), Louise Bourgeois, Yoko Ono, Marina Abramovic. Accanto a loro, decine di altri nomi e cognomi femminili che sarebbe impossibile citare tutti qui, ma che l’imponente lavoro di Katy Hessel - con il suo ambizioso progetto @thegreatwomenartist - cerca di ricollocare al giusto posto nella storia.

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