Culture

Amore e morte secondo Marina Abramović

Nello spettacolo 7 deaths of Maria Callas l’artista serba celebra la passione totale che consumò la Divina. In uno specchio narrativo in cui rivive anche la sua storia con Ulay
Marina Abramović, "7 Deaths of Maria Callas"
Marina Abramović, "7 Deaths of Maria Callas" Credit: © Wilfried Hösl. Courtesy of Bayerische Staatsoper
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
22 maggio 2022 Aggiornato alle 17:00

Amore, passione, sentimenti vissuti in modo totalizzante, al punto da farli convergere con la morte. C’è tutto questo e molto altro in 7 deaths of Maria Callas, lo spettacolo che Marina Abramović dopo alcune tappe internazionali ha portato per la prima volta in Italia, al teatro San Carlo di Napoli e che si estende in una mostra visitabile sempre in città fino a luglio 2022.

Sul palco, l’esponente più influente del panorama internazionale della performance art fonde la propria personalità a quella della soprano, alla quale per sua stessa ammissione la accomunano molte cose, a partire dal modo totalizzante di vivere le relazioni.

«Il suo grande sentimento per Onassis fu per lei amore assoluto. Ha continuato ad amarlo anche quando lui la piantò per sposare Jacqueline Kennedy. Nella mia vita è successo qualcosa di simile, il mio lavoro mi ha salvata», ha dichiarato parlando dello spettacolo.

Il pensiero di Marina Abramović corre a Ulay, all’anagrafe Frank Uwe Laysiepen, partner artistico ma anche compagno di molti anni di vita spesi a regalare al mondo performance indimenticabili spesso volte a spingere i loro corpi al limite.

Ne è un esempio Rest Energy del 1980 nella quale Marina tiene un arco rivolto verso di sé, mentre Ulay tende la corda verso il proprio lato, puntando la freccia al cuore della compagna. L’artista descrisse quell’evento come un’esperienza di cui non aveva il controllo. Tutto era nelle mani dell’altro, che poteva disporre di sé fino a decidere se farla vivere o morire.

Un amore il loro che si fuse con la sopravvivenza, come quello di Maria Callas e delle protagoniste delle opere liriche che ha interpretato nel corso della sua lunga carriera, e che rivivono in 7 deaths of Maria Callas.

Lo spettacolo, diretto da Yoel Gamzou, si divide in due parti, entrambe caratterizzare dalla contaminazione tra video e performance live.

Nella prima Marina Abramović è celata da un velo e giace sul letto di morte di Maria Callas, mentre su uno schermo si susseguono le immagini di sette cortometraggi diretti da Nabil Elderkin nei quali la stessa artista narra gli ultimi attimi di vita di donne note agli amanti della lirica, che almeno una volta hanno avuto il volto di Maria Callas: Violetta, Tosca, Desdemona, Cio-Cio san, Carmen, Lucia e Norma.

Mentre il corpo, sapientemente vestito dalle creazioni di Riccardo Tisci, è quello dell’artista serba, la voce è affidata alle interpreti internazionali Annalisa Stroppa, Valeria Sepe, Nino Machaidze, Zuzana Markovà, Roberta Mantegna, Kristine Opolais e Selene Zanetti.

Nei video è presente anche l’attore Willem Dafoe, che interpreta l’origine di ognuna di quelle morti e l’alter ego di Aristotele Onassis, l’armatore greco con cui Maria Callas visse la sua più grande storia d’amore, la cui fine la portò poco a poco alla morte, avvenuta a Parigi nel 1977 e da sempre attribuita al troppo amore, o al crepacuore.

Morte che si prende tutta la seconda parte dello spettacolo, con la performer che sulle note di Casta Diva fa calare sulla scena lenzuola nere, coinvolgendo il pubblico in un dolore che la stessa Abramović conosce bene e che l’ha avvicinata a Maria Callas.

«Le donne soffrono in eterno per amore e in eterno muoiono in tanti modi. È un tema che, a me come donna, sta molto a cuore. Il mio lavoro è molto emozionale, tocca l’amore, la morte, il dolore, la sofferenza, la perdita, il tradimento: temi di cui è fatta l’arte», ha spiegato.

Marina-Maria, Ulay-Aristotele, arte e vita che si intrecciano fino all’autodistruzione, nei casi della soprano, e della rinascita, in quello della performer.

Marina Abramović e l’artista e fotografo tedesco Ulay, infatti, sono stati così bravi da trasformare in qualcosa di bello anche i momenti più bui. A causa dei tradimenti di lui, i due chiusero la relazione nel 1988 con una passeggiata - performance sulla Muraglia Cinese che all’origine sarebbe dovuta culminare con un matrimonio ma che invece sancì il loro addio. O meglio arrivederci, dato che si rividero nel 2010 quando Ulay si presentò davanti all’ex nel corso della performance più lunga nella storia del MoMA: The artist is present.

In quell’occasione Marina Abramović sedette a un tavolo per 736 ore, invitando i visitatori a sostare a turno su una sedia posta di fronte a lei. Un giorno a farlo fu proprio Ulay e per Marina l’emozione fu tale da farle scendere lacrime silenziose, immortalate in un video divenuto iconico. Non sappiamo se i due si siano più rivisti da quel momento, anche se l’artista ha dichiarato di aver perdonato tutto a Ulay alcuni anni prima che lui, nel 2020, morisse.

L’amore come linfa vitale ma anche come grande condanna, per Marina Abramović così come per Maria Callas.

La prima italiana di 7 deaths of Maria Callas si è conclusa dopo tre giorni ma Napoli continua a renderle omaggio con una mostra personale alla Galleria Lia Rumma, allestita fino al 2 luglio 2022, nella quale si rivive il dramma delle sette morti di Maria Callas, attraverso una video installazione Seven Deaths, tratta dall’opera teatrale.

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