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La crisi climatica colpisce le donne in gravidanza?


Parti prematuri e basso peso alla nascita sono solo alcune delle ripercussioni del climate change sui neonati. Per questo, due ostetrici statunitensi hanno fornito consigli utili per preservare la salute dei nascituri e delle loro mamme
Valeria Pantani
Valeria Pantani giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
15 aprile 2022 Aggiornato alle 17:00

La crisi climatica è un questione di genere: incendi, inondazioni, inquinamento e uragani possono impattare molto sulla salute e sullo sviluppo delle giovani donne. E delle madri.

Negli Stati Uniti, ostetriche e ostetrici sono consapevoli dei possibili effetti climatici sulla salute delle loro pazienti. Per questo motivo alcunə di loro stanno fornendo consigli medici al riguardo, «non per allarmare le persone, ma per prepararle», scrive il Washington Post.

«La realtà è che dobbiamo iniziare a dire alle nostre pazienti che il clima sta cambiando», ha spiegato Santosh Pandipati, ostetrico della California. Nello specifico, consiglia loro di monitorare sempre la qualità dell’aria prima di organizzare attività all’aperto (per lui il momento migliore è la mattina presto).

Nathaniel DeNicola, invece, dispensa utili indicazioni da seguire in caso di evacuazione in seguito a uragani e inondazioni: l’ostetrico, scrive il giornale, «incoraggia le persone a mettere in valigia acqua potabile in più, forniture extra di farmaci e una copia cartacea delle loro cartelle cliniche», qualora sia impossibile recuperare quelle elettroniche in caso di blackout.

Pensiamo all’inquinamento atmosferico o all’aumento delle temperature, due fattori di rischio per le donne incinte in tutto il mondo. Uno studio pubblicato nel 2020 sul Journal of the American Medical Association (JAMA) ha rilevato che l’eccessiva esposizione a questi due fattori può portare a parti prematuri, al basso peso alla nascita oppure alla natimortalità.

«Le temperature elevate possono causare disidratazione. Durante la gravidanza, questa può portare al rilascio di ossitocina, un ormone che contribuisce alle contrazioni del travaglio», ha scritto il Washington Post, riportando le spiegazioni di DeNicola. A conferma di ciò, una ricerca più recente, condotta dalla Stanford University e pubblicata nel 2021 su Environmental Research, ha stimato che in California tra il 2007 e il 2012 ci sono stati fino a 7.000 parti prematuri, riconducibili all’eccessiva esposizione al fumo degli incendi.

Oltre agli effetti diretti sulle nascite, lo stress dovuto all’emergenza climatica o alla necessità di evacuare la propria zona (per incendi, inondazioni o uragani) può portare a problemi di salute mentale per le donne, che si ritrovano in una condizione di vulnerabilità assoluta in una fase delicata della vita.

«Le persone ipotizzano che tutto ciò provochi una sorta di catena di conseguenze in gravidanza, che porta poi a eventi come contrazioni premature», spiega DeNicola.

Viene tutto amplificato se poi parliamo di madri nere, le quali già di natura hanno più probabilità di morire per una gravidanza rispetto alle donne bianche (sia per condizioni croniche specifiche che per il pregiudizio razzista nell’ambito sanitario).

Secondo l’epidemiologa Rupa Basu, la ricerca del JAMA (di cui lei è stata co-autrice) mostra come per le donne nere esistano più rischi di un parto prematuro o di basso peso del bambino alla nascita rispetto alle donne di altra etnia, in contesti di eccessiva esposizione al calore e all’inquinamento atmosferico.

La gravidanza si aggiunge così agli altri motivi per i quali la crisi climatica è anche una questione di genere. Sarà forse per questo che le donne risultano più impegnate rispetto agli uomini nella lotta al climate change?

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