Diritti

Dal Venezuela agli Usa: storia di chi ce l’ha fatta

Oggi Alejandro vive in Florida, ma il suo viaggio non è stato affatto semplice. Arrivato al confine con gli Stati Uniti, è iniziata la parte più dura: la detenzione nei centri per migranti
Un uomo porta sulle spalle una donna mentre attraversa il fiume Táchira, al confine tra Venezuela e Colombia
Un uomo porta sulle spalle una donna mentre attraversa il fiume Táchira, al confine tra Venezuela e Colombia Credit: Fabiola Ferrero—Magnum Foundation for TIME
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10 aprile 2023 Aggiornato alle 11:00

In un appartamento di Caracas, nel cuore della notte: inizia qui il racconto di Alejandro (nome di fantasia) al Guardian.

L’addestramento militare nell’esercito, le accuse di essere un oppositore politico, le minacce di morte, la fuga nel bel mezzo della notte, l’arrivo in Colombia, l’attraversamento del deserto messicano per raggiungere il confine con gli Usa, il centro di detenzione per migranti illegali. La vicenda di Alejandro non è molto diversa da qualsiasi altro migrante venezuelano.

Il Paese, infatti, dal 2014, con il crollo del prezzo del petrolio e il cambio di leadership dopo la morte di Hugo Chavez, sta vivendo una grande e grave crisi migratoria: tra i motivi che spingono i cittadini a lasciare la propria casa e il proprio Paese ci sono la violenza, la generale situazione di instabilità, le minacce, la mancanza di servizi di base e beni di prima necessità, come cibo e medicine. La situazione economica è gravemente peggiorata dopo la pandemia e oggi si stima che il 42% dei bambini di Caracas e delle zone limitrofe soffra di qualche forma di malnutrizione.

Secondo i dati Onu, i rifugiati venezuelani nel mondo sono 7,13 milioni (di cui 1 milione richiedente asilo); la maggior parte si trova negli Usa e nei Paesi vicini, come Argentina, Brasile, Bolivia, Cile, Colombia, Aruba e Curaçao dove, secondo quanto riportato dal report della Plataforma de Coordinacion Interagencial para Refugiados y Migrantes, diventano facilmente preda del crimine organizzato che li recluta per il contrabbando di droga o lo sfruttamento sessuale. Sempre secondo il report, è altissimo il rischio di violenza, rapimenti, sparizioni forzate e omicidi.

Lo stesso pericolo lo corrono coloro che vengono espulsi dagli Stati Uniti verso il Messico, come previsto dal nuovo programma di emigrazione messo a punto dall’Amministrazione Biden che da un lato continua la linea dura contro l’immigrazione clandestina, mentre dall’altro incentiva l’arrivo legale nel Paese di chi possiede determinati requisiti, finendo per privilegiare chi è già privilegiato.

Gli Usa rimangono comunque una delle mete preferite, dal Venezuela come da tutta l’America Latina, nonostante gli ostacoli rappresentati da leggi anti-immigrazione e dall’ambiente ostile in cui si svolge il viaggio.

Nel caso dei venezuelani, non tutti possono raggiungere il Messico via aria, come nel caso di Alejandro, e sono quindi costretti a farlo via terra, attraversando gli instabili Paesi centroamericani: ma non sono loro la parte più pericolosa dell’impresa. L’unico passaggio via terra verso l’America centrale è il famigerato Darien Gap (Tappo del Darien) che con i suoi 5.000 km quadrati di giungla, al confine tra Colombia e Panama, rappresenta una delle rotte più pericolose al mondo per i migranti illegali.

Il Darien Gap deve il suo nome dal fatto che in passato era considerato impenetrabile, tanto che a oggi nessuno ha osato costruire una strada che lo attraversi: rappresenta così l’unica interruzione dell’autostrada panamericana che corre lungo il continente, dall’Alaska all’Argentina.

A guardarlo su Google Earth, si vede solo una macchia di un verde profondo, che dà l’idea di un’oasi di pace di splendida natura incontaminata. Ma estremamente ostile all’essere umano. La vegetazione della foresta pluviale è fitta e nasconde molte insidie: montagne scoscese, fiumi inaspettati, fango e paludi che rendono estenuanti gli spostamenti a piedi, animali selvatici, a volte velenosi, malattie mortali. La totale assenza di strade e sentieri rende la probabilità di perdersi una certezza il che porta i migranti a affidarsi a guide che riscuotono pedaggi salati e che spesso li abbandonano in mezzo alla foresta.

I pericoli che non vengono dalla natura sono poi compensati con quelli umani: non solo trafficanti di persone ma anche gruppi criminali e paramilitari che hanno fatto della giungla del Darien il proprio nascondiglio senza legge. Nonostante questi elementi di pericolo, si stima che nel 2022 il numero di migranti passati dal “Tappo” sia quasi triplicato rispetto all’anno precedente, e che la maggior parte siano venezuelani.

Ciò che però aspetta i più fortunati, ovvero coloro che riescono a uscirne indenni, dopo essere arrivati in Messico e aver attraversato il deserto in direzione degli Usa, non è il sogno americano ma centri di detenzione per migranti illegali: vere e proprie prigioni dove si compiono abusi e violenze, dove le condizioni di vita sono inadeguate, quando non indecenti.

Per Alejandro il periodo di detenzione è stato «la parte più nera dell’oscurità»: le guardie sottoponevano i migranti a tortura fisica e psicologica, impedendone il sonno e battendo le sbarre con i manganelli durante la notte.

I mesi di attesa dell’udienza per il permesso a restare sono stati estenuanti, ma quando il momento è arrivato è stato anche peggio. Condotto in manette davanti a un ufficiale giudiziario, senza assistenza legale, ha dovuto ripercorrere tutta la storia a ritroso per difendere il proprio caso. Durante la prigionia, aveva 2 opzioni, una peggiore dell’altra: restare rinchiuso o essere deportato in Venezuela. «Il sistema è disegnato per portarti a un punto in cui non hai più speranza», ha raccontato al Guardian.

Oggi Alejandro è libero e vive in Florida con la sorella, ma il ricordo del trauma di ciò che ha dovuto passare è ancora vivido nella sua mente e nelle sue parole. La sua non è una storia isolata, ma solo una delle tante, di tutti coloro che ogni giorno decidono di lasciare indietro tutto ciò che amano e conoscono nella speranza di una vita migliore.

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