Diritti

Usa: violata la libertà religiosa della pastora che assisteva i migranti alla frontiera

Dopo una disputa giudiziaria durata 4 anni, il tribunale federale di San Diego ha dato ragione alla reverenda Kaji Douša, (non) colpevole di aver partecipato a una carovana umanitaria al confine con il Messico
Kaji Douša
Kaji Douša Credit: Facebook/Kaji Douša.
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
5 aprile 2023 Aggiornato alle 07:00

Kaji Douša è un’attivista per i diritti dei migranti e la prima donna a servire come pastore anziano della sua congregazione in oltre 212 anni, la Park Avenue Christian Church di Manhattan, New York. La donna è stata al centro di una disputa legale contro le forze dell’ordine federali statunitensi in merito alla sua attività umanitaria al confine con il Messico: la scorsa settimana il tribunale federale di San Diego si è pronunciato a suo favore, stabilendo che gli agenti hanno violato la sua libertà religiosa e si sono vendicati contro lei per dei fatti avvenuti nel 2019, quando si era recata in Messico per aiutare i migranti. E così, nel marzo 2023, Douša ha vinto la sua causa per i diritti civili contro il Governo federale.

Facciamo un passo indietro. Nel 2018 la reverenda ha contribuito a organizzare il Sanctuary Caravan per fornire servizi pastorali, come la preghiera e le cerimonie di matrimonio, ai migranti che stavano richiedendo asilo negli Stati Uniti. A poche ore dall’inizio del 2019, Douša stava tornando a San Diego dopo aver assistito i migranti a Tijuana, al confine con il Messico. Era il periodo in cui l’amministrazione dell’ex presidente Donald Trump stava attuando una controversa politica di tolleranza zero contro i migranti alla frontiera. La donna ha raccontato in un articolo scritto su Buzzfeednews che, apparentemente, il suo “crimine” è stato “fraternizzare con i migranti che cercavano rifugio in questa Nazione come parte della ‘carovana’ insultata dall’amministrazione in fuga dalla violenza nei loro Paesi d’origine”.

Gli agenti della dogana e della protezione delle frontiere degli Stati Uniti, racconta il Washington Post, l’hanno fermata e trattenuta per essere interrogata per circa 1 ora e mezza. Secondo Douša, gli agenti conoscevano già la sua identità e le sue attività e per questo l’avevano inserita in una lista di oltre 50 persone che avevano lavorato alla crisi dei migranti al confine tra Stati Uniti e Messico. 2 mesi dopo le sue parole sono state confermate da una serie di documenti fatti trapelare da un informatore del Governo statunitense e pubblicati dalla Nbc: la Operation Secure Line conteneva nomi di attivisti, giornalisti e altre persone collegate alla carovana di migranti. Tra questi comparivano il nome e la foto di Douša con una “X” gialla sul viso. Quando ha visto l’immagine, quella di “una cittadina americana e presidente del consiglio degli ex studenti della Yale Divinity School”, le sue emozioni “oscillavano tra la rabbia e il terrore”, ha scritto.

I file mostravano che le era stato revocato il pass SENTRI, che consente un controllo accelerato lungo il confine sud-occidentale tra Stati Uniti e Messico. A quel punto Douša, nel luglio del 2019, ha citato in giudizio DHS, Customs and Border Protection, Immigration and Customs Enforcement e le persone che guidano queste agenzie per fermare le loro ritorsioni illegali contro di lei per aver fornito servizi pastorali a migranti e rifugiati, una vocazione centrale della sua fede cristiana. Altre prove a dimostrazione di questa tesi hanno rivelato che il Governo degli Stati Uniti aveva sorvegliato e indagato Douša per il suo attivismo, inviando una mail alle autorità messicane in cui chiedevano di arrestare la donna.

Nella sentenza Douša v. DHS, il giudice distrettuale Todd W. Robinson ha spiegato che la reverenda ha dimostrato che la U.S. Customs and Border Protection si è “illegalmente ritorta contro di lei per la sua attività protetta dal Primo Emendamento”, violando il suo diritto al libero esercizio del ministero ai migranti in Messico e il Religious Freedom Restoration Act, una legge federale del 1993 che “assicura che gli interessi nella libertà religiosa siano protetti”.

Pare che le azioni del Governo si siano concentrate sui matrimoni celebrati da Douša per i richiedenti asilo durante la sua visita in Messico. Ma la donna ha dichiarato che si trattava di unioni religiose che non avevano alcun impatto con le richieste d’asilo dei migranti. Nel 2019 una coalizione di oltre 850 membri del clero ordinati in tutto il Nord America ha firmato una lettera in favore di Douša, che nel corso della causa ha ricevuto grande sostegno dalla sua comunità e da altri leader religiosi.

Questa vittoria, ha detto a The Intercept Stanton Jones, il legale della reverenda, è «davvero significativa per la libertà religiosa e per la libertà di parola in generale. Penso che questa debba essere una delle violazioni dei diritti più eclatanti nella memoria recente».

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