Diritti

Per la festa del papà, regaliamogli il congedo di paternità

La situazione in Europa varia da Paese a Paese, ma tutti fanno meglio di noi. Eppure, ridurre il gender gap nella cura dei figli fa bene a tutti: madri, padri, aziende e persino alla natalità
Credit: Tatiana Syrikova

«Non riesco neppure a immaginare che un omaccione sia in grado di accudire un neonato, cambiargli i pannolini e allattarlo. Sono cose che sanno fare solo le nostre mogli e non un compagno qualsiasi».

Così scriveva qualche giorno fa Vittorio Feltri, parlando dei figli delle coppie omogenitoriali. Peccato che, nel tentativo di screditare le famiglie arcobaleno, abbia dimenticato una cosa: che gli “omaccioni”, ma anche gli omaccini e gli uomini di tutte le taglie, i neonati li accudiscono già. E non solo nelle famiglie composte da due papà, ma anche (o almeno dovrebbero) anche all’interno delle coppie “tradizionali” che procreano “secondo natura”.

Mammi, babysitter o semplicemente papà?

Forse, però, della sua incapacità di immaginare un maschio che si prende cura di un neonato non dovremmo stupirci così tanto. In fondo, basta guardarci intorno per capire che, ancora, se le madri vengono condannate a sobbarcarsi gratis il lavoro di cura, questo per i padri si traduce nell’assunzione del ruolo di chi “porta lo stipendio”: fuori casa, da subito, lasciando la moglie a svolgere il ruolo che naturalmente le si confà. Se, eccezionalmente, sono costretti a occuparsi di quel piccolo essere con cui condividono metà del corredo genetico fanno i “babysitter” o i “mammi”, supplenti temporanei della madre assente ma mai genitori a pieno titolo.

Eppure, i padri che fanno, molto più semplicemente, i padri esistono. Uomini che con compagne e mogli condividono – o vorrebbero condividere – il lavoro di cura, nonostante a livello politico e culturale molto poco sia stato detto, o fatto, per permettere loro di assumere appieno il ruolo di genitore.

Ormai lo sappiamo: se guardiamo al mondo del lavoro, per le donne la maternità è una penalizzazione. Per gli uomini, invece, è la spinta che gli permette di staccare i colleghi che ancora non hanno figli. Ma se (per fortuna) abbiamo iniziato riflettere su come scardinare il primo meccanismo vizioso, studiando politiche e pratiche per creare un equilibrio tra lavoro, vita personale e famiglia per le donne, molto meno si è fatto per capire come permettere agli omaccioni che vogliono essere padri che si prendono cura dei propri figli di farlo. E, soprattutto, non abbiamo parlato abbastanza di quale sarebbe l’impatto di questa piccola grande rivoluzione. Non solo sugli uomini, ma anche sulle donne e, non ultimo, sulle aziende.

Iniziando dal congedo parentale.

Congedo di paternità: qual è la situazione in Europa?

Se la guardiamo nel complesso, la situazione europea è desolante: circa il 6,4% dei padri (rispetto al 34% delle madri) con figli a carico fino all’età di 15 anni ha adattato il proprio lavoro in modo significativo a causa della paternità, a esempio riducendo i propri orari, lavorando part-time o passando a compiti meno impegnativi. Questa percentuale varia, tuttavia, da meno del 5% nella maggior parte dei Paesi orientali fino a oltre il 20% nei Paesi Bassi o in Svizzera (con percentuali in alcuni casi anche elevate anche nei Paesi nordici).

Anche stringendo il focus sul congedo di paternità, le cose cambiano drasticamente da Paese a Paese: si va dalla Svezia, in cui il congedo è per entrambi i genitori, che possono usufruire di 480 giorni totali (90 per ciascun genitore e 300 da dividere) alla Spagna, il primo Paese che nel 2021 ha equiparato i due congedi, garantendo a entrambi 16 settimane, di cui le prime 6 obbligatorie, fino ai 160 giorni di Finlandia e ai 120 del Portogallo. Molto meno bene, invece, la Francia: i giorni obbligatori sono 7, più un periodo facoltativo di 28 (prima del 2021 erano 14). In tutto il mondo, su 187 quelli che offrono un congedo di paternità retribuito per legge sono 90.

E l’Italia? L’Italia, come sempre, è uno dei fanalini di coda, con solo 10 giorni. Un’enormità, se pensiamo che fino al 2020 il congedo per i padri era di un solo giorno.

Di estendere il congedo si è parlato a lungo nella scorsa legislatura, sembrava che i 90 giorni fossero vicini ma tutto è finito con un nulla di fatto. Da allora, niente è cambiato, anche se la neo-segretaria del Pd Elly Schlein è tornata a proporre il congedo paritario, chiedendo di portare a tre mesi il congedo pienamente retribuito per entrambi i genitori. Un congedo che dovrebbe essere non trasferibile, quindi obbligatorio sia per la madre sia per il padre.

A chi fa bene il congedo di paternità?

Risposta breve: a tutti. Non solo ai papà, che possono avere il tempo di prendersi cura dei figli – riducendo anche il rischio di sviluppare la depressione post-partum – e alle madri, ma anche a tutta la società.

Fa bene alla parità di genere – immaginate di non sentire mai più la frase “assumere una donna non conviene perché poi va in maternità, meglio un uomo” – fa bene alle coppie – il numero dei divorzi è più basso e secondo Forbes il 90% ha notato un miglioramento nelle relazioni con i propri partner – e fa bene anche alle aziende.

Gli uomini che trascorrono del tempo con i propri figli, infatti, segnalano un aumento della felicità e della realizzazione che, spiega un report di McKinsey, può estendersi anche al posto di lavoro. Il 60% di loro ha descritto le ore di assistenza all’infanzia come “molto significative”, quasi il doppio della percentuale di quelli che hanno descritto in questo modo il lavoro. Allo stesso tempo, molti neo padri scoprono anche un rinnovato apprezzamento per i loro datori di lavoro. Felicità, entusiasmo e soddisfazione non sono cose da poco, se pensiamo alla Great Resignation e che, secondo il report Gallup sullo Stato globale del mondo del lavoro, siamo i lavoratori più tristi d’Europa.

Il congedo di paternità fa bene anche, e dovremmo ricordarcelo quando sentiamo gridare alla crisi delle nascite, alla natalità. Come spiega lo studio The Effect of Paternity Leave on Fertility Rates della Baylor University ”Per incoraggiare gli uomini a staccarsi dal lavoro, questi programmi di congedo hanno bisogno di essere altamente remunerati, durare due o più mesi ed essere riservato specificamente ai padri. Ciò promuoverà una divisione equa di genere dell’assistenza all’infanzia che incoraggia i genitori a farli avere più figli. Quando queste decisioni individuali vengono aggregate, il tasso di fertilità di un paese aumenta”.

Come favorire un maggiore work-life balance agli uomini? (E, quindi, alle donne?)

Estendere il congedo per i papà è il primo, fondamentale, passo. Ma potrebbe non essere sufficiente. Anche in Paesi in cui i padri possono disporre di lunghi congedi (è il caso, a esempio, di Corea del Sud e Giappone), in molti casi i padri non si assentano dal lavoro per paura di avere ripercussioni sulla carriera. È fondamentale quindi cambiare l’approccio alla paternità. Un cambiamento in cui anche le aziende possono fare la loro parte.

Tra il 2019 e il 2022, il progetto europeo Men in Care, cofinanziato dalla Commissione Europea, ha realizzato azioni in aziende e organizzazioni di otto Paesi europei per promuovere la corresponsabilità maschile nella cura.

Dopo il primo anno di vita del bambino, che può essere sostanzialmente coperto dai diversi permessi dal lavoro, le aziende possono promuoverla attraverso altre politiche, come la riduzione degli straordinari o della giornata lavorativa, l’adeguamento dell’orario di lavoro e dei turni alle esigenze di assistenza all’infanzia, la settimana lavorativa da 30 a 35 ore senza riduzione salariale e lavoro a distanza regolamentato e volontario.

Sono state realizzate un’infografica e una guida aziendale per spiegare come supportare i “caregiver uomini” in sette step, illustrando i vantaggi per le aziende. Sono stati organizzati anche workshop con genitori che lavorano e personale dirigente, che le entità interessate possono richiedere tramite l’Università Nazionale Spagnola di Educazione a Distanza (UNED). Infine, le organizzazioni partner del progetto formulano sette raccomandazioni politiche a livello europeo per includere gli uomini nel caregiving.

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