La natalità francese può essere d’esempio per l’Italia

La natalità francese può essere d’esempio per l’Italia

 

Densità demografica e cultura bastano per considerareItaliaeFranciacugine. I 2 Paesi sono spesso oggetto di paragone in materia di politiche da attuare. Eppure, sul piano dellanatalitàpermane una distanza che sembraincolmabile. Mentre la Francia, con un tasso di fertilità di 1,83 nati vivi per donna, resta il primo Paese europeo per nuove nascite,l’Italia arretra sempre di più,guadagnandosi il terzultimo posto in classificacon1,24 nati vivi per donna(seguono la Spagna e Malta). Si stima chenel 2070 in Italia ci saranno circa 12 milioni di persone in menorispetto a oggi. Un salto indietro nel tempo al 1953, quando la popolazione del Belpaese ammontava a 47,7 milioni di abitanti.La sfida europea è raggiungere un tasso di fertilità pari a 2,1 nascite per donna, corrispondente al livello di sostituzione: “Il numero medio di nati vivi necessario a mantenere costanteil numero di abitanti”, spiegaEurostat. Attualmentenessun Paese europeo si avvicina a quella soglia. Anche la virtuosa Francia, infatti, è alle prese con un calo della natalità iniziato, come in Italia, dalla crisi economica del 2008. Quello che ilGoverno francese è riuscito a fare, tuttavia, è stato frenare un calo brusco delle nascite mettendo in campostrumenti di sostegno alla genitorialitàche potrebbero rappresentare un modello da seguire anche per l’Italia. Così, negli ultimissimi anni si registra un aumento delle nascite persino nei centri urbani più piccoli presenti lungo la costa e in alcune zone rurali. È quella che il quotidiano franceseLe Figaroha definito unanuova geografia delle nascite dopo la crisi sanitaria. Ripopolare le zone rurali Una tendenza in contrasto con il quadro europeo in cui, invece, si assiste alprogressivospopolamento delle zone ruraliche rappresentano il 45% del territorio Ue, ma in cui vive solo il 21% della popolazione.Tra il 2015 e il 2020,infatti, dalle regioni rurali sono andati via i più giovani e le persone in età lavorativa – tra i 20 e i 64 anni – mentresono aumentati gli over 65.Il dato è perfettamente in linea con le ultime previsioniIstat, secondo cuinei prossimi 10 anni in Italia è atteso un calo demograficoin 4 Comuni su 5. Le grandi aree urbane non saranno escluse dal fenomeno, ma a differenza delle zone rurali continueranno a essere attrattive. Il problema riguarderà in modo più marcato proprio learee interneche rappresentano il 52% del territorio italiano e dove, entro il 2031,la popolazione diminuirà del 5,5%. Saranno maggiormentecolpiti i Comuni con meno di 3.000 abitantidove, secondoi dati elaborati dallaFondazione Think Tank,già negli ultimi 10 anni il calo della popolazione è stato tra il 7%, nei Municipi tra i 1.000 e i 3.000 abitanti, e l’11,6% in quelli con meno di 500 abitanti. Non c’è bisogno di evidenziare che sono lerealtà rurali del Mezzogiorno a soffrire maggiormente l’inverno demografico. A Sud, infatti, la distanza dai grandi centri urbani e la difficoltà di raggiungere servizi essenziali è amplificata rispetto ai territori del Nord. È proprio questa condizione di marginalità uno dei motivi dell’inesorabile calo della popolazione a cui stiamo assistendo. Tanto che laFondazione Think Tankcrede che una soluzione possa essere l’aggregazione dei piccoli Comuniper “costruire una nuova realtà – si legge nel loro rapporto – in grado dioffrire i servizi alla popolazione all’interno di un bacino territoriale più ampio”. Una strategia che potrebbe ben integrarsi con gli interventi governativi già in atto. Da un lato laStrategia nazionale per le aree interne(Snai), il programma da 591 milioni di euro che intende contrastare la marginalizzazione e il declino demografico delle aree interne. Dall’altro, l’intervento del Pnrr che punta alrilancio di 250 borghi italiani. Sostegno alla genitorialità: il modello francese Quello che ancora manca è unapolitica di welfare generalizzata che sostenga la genitorialità. In Italia, ilprimato detenuto dai Comuni del Trentino Alto Adigein materia di natalitàsi spiega proprio in base alle condizioni socio-economiche, con particolare riguardo per quelle femminili che nelleprovince autonome di Trento e Bolzanosono le migliori in Italia. Il parametro, calcolato daSave the childrene contenuto nel rapportoLe equilibriste, la maternità in Italia, prende in considerazione diversi indici tra cui iltasso di fecondità, ladistribuzione del lavorodi curaall’interno delle coppie di genitori occupati, lapartecipazione delle donne al mercato del lavoroe l’indice di presa in carico dei bambini all’asilo nidoe in altri servizi integrativi per la prima infanzia. Un passo da fare potrebbe essere quello diimitare il modello dei cugini francesiper avvicinarsi al primato demografico che oltralpe si vive già da un po’. Un intento che, almeno nelle intenzioni, sembra voglia perseguire il Governo Meloni,affiancando all’assegno unico universale un’imposizione fiscale calibrata sul numero di figli. Per farlo, bisognerebbe accantonare l’Isee come unico strumento su cui calcolare bonus e prestazioni agendo su 2 fronti: tassazione e trasferimenti monetari. In Italia, infatti, la tassazione è su base individuale. La Francia, invece, fa leva sulquoziente familiare(quotient familial) in base al quale ilcarico fiscale si alleggerisce all’aumentare del numero di figli a carico. Sul fronte dei trasferimenti monetari, poi, l’Italia fa ricorso prevalentemente all’assegno familiare, mentreil sistema francese è molto più compositopotendo contare su strumenti (calcolati sulla base del quoziente familiare) come l’allocation familiale(per famiglie con almeno due figli), laprestation d´accueil du jeune enfant(per famiglie con figli fino ai 3 anni), ilprime de naissance(erogato alla nascita del primo figlio), l’allocation de rentrée scolaire(un sussidio per le spese scolastiche), l’allocation de soutien familial(per le famiglie monogenitoriali)e ilcomplément familial, (per le famiglie più numerose, con almeno 3 figli). Sono i numeri a restituire la portata di queste misure.Tra il 2011 e il 2019laFranciaha stanziato circa il2,40% del Pil per le politiche familiari.L’Italia,invece, circal’1%restando ben salda al di sotto della media europea non solo per nuovi nati, ma anche per capacità di sostenere la genitorialità.