Diritti

Natalità italiana: un (altro) bilancio negativo

Le previsioni del Presidente dell’Istat preoccupano sempre di più: quest’anno non arriveremo a 400.000 nuovi nati. Nel 2070 avremo circa 145.000 ultracentenari
Credit: Ján Jakub Naništa/unsplash
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16 dicembre 2022 Aggiornato alle 09:00

Siamo così abituati a parlare del crollo delle nascite che i dati ci sembrano ormai irrilevanti, ma il bilancio di fine anno sembra addirittura aver superato (in negativo) le previsioni degli esperti. Il Presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ha dichiarato che nel 2022 non arriveremo a 400.000 nuovi nati e che ogni anno «facciamo il record minimo storico».

La tendenza negativa delle nascite è un fenomeno che colpisce tutto il Paese, a prescindere dalla ricchezza delle singole realtà regionali.

Una serie di dati significativi riguarda la regione Veneto. Il giornalista del Foglio Giulio Meotti, che si è occupato a più riprese del tema della denatalità italiana, ha messo in ordine i numeri della “locomotiva d’Italia”, a partire dai dati della scuola. Quasi 1 alunno su 2 è straniero alle scuole elementari, la città di Treviso perde ogni anno 100 under 13 e in tutta la regione oltre 7.000 iscritti in meno alla prima elementare. I morti sono il doppio dei nati.

Anche le altre regioni non riescono a invertire il trend negativo: nel biennio 2018-2019 in 21 province italiane (un quarto del totale) ci sono state 200 morti ogni 100 nati; in 47 province con 150-200 morti ogni 100 nati e in 38 province con 100-150 morti sempre ogni 100 nati. Le regioni crolleranno a diverso grado: Veneto, Toscana, Friuli- Venezia Giulia e Lazio perderanno dal 10 al 20% della popolazione. Dal 20 al 30% il crollo di Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta, Marche, Umbria, Abruzzo e Campania; dal 30 al 40% l’ecatombe in Sicilia, Calabria, Puglia, Molise e Sardegna; infine la Basilicata perderà oltre il 40% della sua popolazione.

Gian Carlo Blangiardo ha insistito sulla questione della natalità: «Un altro dato che può far comprendere la drammaticità della situazione è quello che ci dice che in Italia spariranno 12 milioni di italiani in 4 decenni. Nel 2070 avremo 145.000 ultracentenari, oggi sono 20.000. Tutto ciò ha naturalmente importanti riflessi di natura sanitaria, economica e sul sistema pensionistico».

Un caso “unico” in Europa

Già vent’anni fa lo studioso Henri Mendras lanciava un avvertimento all’Italia, esprimendo la sua preoccupazione riguardo il Paese che “non sembra prendere sul serio il pericolo che li minaccia. Nessun popolo può sopportare un evento così traumatico. E l’equilibrio generale dell’Europa sarebbe scosso”. Anche The Lancet, una delle riviste scientifiche più prestigiose al mondo, aveva fatto una previsione catastrofica, prevedendo che l’Italia si sarebbe dimezzata. Ora queste idee non sembrano così lontane dalla realtà, tanto che il dipartimento dell’Onu che si occupa della popolazione e del suo benessere sembra confermare i dati: l’Italia, in un futuro non così lontano, conterà 22 milioni di abitanti in meno rispetto a oggi.

Un dibattito che parla solo del costo dei figli

I numeri, i dati e le statistiche sono utilissimi per guardare il fenomeno nel suo insieme, ma non offrono soluzioni individuali, perché a quello ci deve pensare la politica. O almeno in parte.

Con l’ultima Legge di Bilancio, che dovrà essere approvata dal Parlamento entro fine anno, sono state apportate delle modifiche all’assegno unico, al congedo parentale, ma si pensa che non saranno misure sufficienti. La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, già dai primi giorni di insediamento del Governo, aveva espresso la sua preoccupazione per il calo delle nascite, dicendo che uno degli obiettivi sarebbe stato quello di applicare fino in fondo la legge 140 sull’interruzione volontaria di gravidanza, nella parte in cui si prevede un aiuto alle donne che scelgono di abortire perché “costrette” dalla questione economica.

Insomma, il dibattito sulla natalità sembra legato esclusivamente alla possibilità economica di avere un figlio, ai costi del mantenimento della prole, agli asili privati a pagamento. La disoccupazione giovanile, gli stage non pagati, l’immobilità del mercato del lavoro a fronte di un interesse sempre più grande verso la fascia di popolazione “più vecchia”, i soldi investiti sul sistema pensionistico: probabilmente, i giovani italiani non vogliono avere figli non solo perché questi “costano” - altrimenti non si spiegherebbe il trend negativo anche nelle regioni più ricche - ma perché non esiste un sistema sociale di supporto alla genitorialità.

Ultima considerazione fondamentale è quella che riguarda le cause socio-culturali del fenomeno. Non si possono interpretare questi numeri, seppur allarmanti, senza guardare il cambiamento della società nel suo insieme. Primo fra tutti l’emancipazione femminile e il progressivo allontanamento dal modello familiare tradizionale, che per moltissimi giovani non è più l’obiettivo di una vita felice, perché troppo ingombrante per la realizzazione professionale, che in Italia, purtroppo, richiede troppi anni.

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