Economia

Ue: l’Italia non è più un contributore netto (per ora)

Con 26,7 miliardi ricevuti dall’Unione, gran parte dei quali legati al Pnrr, il Paese riceve più di quanto dà. Un’inversione dei ruoli temporanea che non dovrebbe destare timore, fatta eccezione per gli euroscettici
Credit: Antoine Schibler
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10 febbraio 2023 Aggiornato alle 09:00

Stando alla Relazione annuale 2022 sui rapporti finanziari con l’Unione europea e l’utilizzazione dei Fondi europei, la Corte dei conti – organo di rilievo costituzionale con funzioni di controllo finanziario sugli atti di Governo e delle pubbliche amministrazioni – fa sapere che l’Italia ha mutato la sua posizione economica da contributore a percettore netto dei fondi erogati dall’Unione europea.

Dal bilancio comunitario del 2021 infatti emerge che a fronte di 18,1 miliardi di euro di versamenti effettuati nel 2021 dall’Italia con risorse proprie, la stessa ha ricevuto dall’Unione risorse per 26,724 miliardi.

Questa inversione dei ruoli, segnata da un aumento complessivo del 129,2%, è dovuta in gran parte ai fondi destinati al Pnrr destinati al nostro Paese, pari a 10,198 miliardi, con buona pace di chi sull’idea di un’Italia che spende per l’Europa più di quanto guadagna ci ha costruito un’intera campagna elettorale.

Archiviate le battute, questa inedita collocazione nel bilancio dell’Unione è quindi dovuta alle prime tranches di fondi del Pnrr ricevuti dall’Italia, che si trova ora al di fuori della cerchia dei contribuenti netti, generalmente i Paesi più ricchi e influenti a livello politico come Germania, Francia o Paesi Bassi, e per la prima volta diventa un beneficiario netto dell’Ue, al pari di Polonia, Ungheria e Romania.

Una situazione che comunque bisogna leggere come temporanea, calcolando che al netto del Pnrr il rapporto dare-avere tra Italia e Unione europea sarebbe ancora il solito, pur comunque con una riduzione dai 6,6 miliardi registrati nel 2020 a un margine di contribuzione di 1,5 miliardi.

Non si tratta certo di un declassamento, ma la magistratura contabile specifica tuttavia che la nuova posizione dell’Italia potrà ricevere una completa valutazione solo all’esito del programma di investimento legato al Pnrr e alla realizzazione degli strumenti presenti nel Quadro finanziario pluriennale vigente fino al 2027, anche se preoccupa la mancata «dinamica positiva» in termini di pagamenti rispetto alle robuste risorse europee introdotte nell’attuazione finanziaria della programmazione 2014-2020.

Pur essendo un cambiamento temporaneo, la forza politica dell’Italia in Europa – soprattutto quando si tratta di negoziare su temi sensibili con Bruxelles – potrebbe indebolirsi. Rileva infatti la correlazione indicata dall’Ifo Institute, fra i più grandi istituti di ricerca economica tedeschi, secondo cui una maggiore contribuzione netta al bilancio Ue determinerebbe vantaggi economici per le imprese europee, favorite dal mercato unico. Lo studio del 2018 infatti associa un maggiore saldo negativo della Germania (13,6 miliardi) a un incasso di 118 miliardi di export favorito dagli accordi commerciali dell’Ue, così come la Francia che a fronte di una contribuzione di 7,4 miliardi vede un guadagno di 62 miliardi per le sue imprese.

La speranza è quindi che gli ingenti investimenti europei producano i loro frutti e che l’Italia, fra i Paesi fondatori dell’Ue nonché terzo membro più importante nel G7, riesca a tornare dalla parte del bilancio che gli assicura maggiore capacità di manovra e influenza nello scacchiere europeo.

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