Diritti

Andiamo a prendercelo, questo Pnrr

La pandemia ha colpito duro il lavoro delle donne. Ma ha ottenuto un effetto: siamo primi in Europa per numero di imprese femminili. E ora, i fondi ci sono
(Etienne Boulanger)
(Etienne Boulanger)

Stando agli ultimi dati Istat relativi al mese di marzo del 2022, gli occupati in una posizione dipendente hanno raggiunto il valore più alto mai toccato dal 1977, con un incremento di oltre 430.000 unità rispetto allo stesso mese del 2021. Il tasso di disoccupazione è sceso all’8,3% ed è tornato al valore del 2010. Una buona notizia dietro l’altra. A cui si aggiunge un ulteriore dato: a trainare la crescita dell’occupazione sono state le donne, con un incremento di 85.000 occupate sul mese precedente.

Le più colpite dalla pandemia

Ma ricordiamo da dove veniamo e cosa è successo negli ultimi anni. Nel 2020, a esempio, i posti di lavoro persi sono stati 440.000. Per il 98%, da donne. E rammentiamo anche che quello che il mercato del lavoro italiano ha con le donne è un problema strutturale, che con la pandemia si è ulteriormente aggravato, ma che non è stato causato dal Covid. Il tasso di occupazione femminile, nel nostro Paese, è sempre stato molto basso e ben distante dalla media europea (e dall’obiettivo della Strategia di Lisbona, che lo voleva al 60% entro il 2010).

Un problema al quale le donne italiane hanno da diversi anni trovato una soluzione: di fronte a un mercato del lavoro che non le vuole e non le valorizza, hanno iniziato a reagire facendo impresa. Creando la loro realtà produttiva e dando vita a un microcosmo, anche valoriale, che possa rappresentarle di più, che somigli maggiormente a loro.

Reagiscono facendo impresa

In valori assoluti, siamo il primo Paese europeo per numero di imprenditrici femminili, secondo i dati Eurostat. Sappiamo che le imprese femminili rappresentano il 22% del totale, ma così come avviene per il lavoro dipendente, allo stesso modo la cultura economica del nostro Paese tende a definire lavori e settori imprenditoriali “adeguati” per gli uomini e per le donne. E così, il 40% delle imprese che forniscono lavori domestici è femminile, così come lo è il 38% di quelle che operano nella sanità. Sempre a prenderci cura, anche quando facciamo impresa.

Un’altra caratteristica delle imprese femminili? Sono reattive più della media. È quanto emerge dallOsservatorio MPI di Confartigianato Lombardia, che ha registrato che, anche se sono state più colpite dalla crisi derivante dalla pandemia, le imprese femminili italiane (in particolar modo, lo studio si è incentrato sul settore dell’artigianato) hanno mostrato una maggiore capacità reattiva. E che le imprenditrici hanno dimostrato di saper reagire anche attraverso la creazione di un piano strategico con maggiore frequenza rispetto alla media complessiva (il 61% contro il 55%). Un altro dato? Queste azioni di sviluppo sono state incentrate in maniera prioritaria sulle persone, sulla loro valorizzazione, sulla loro formazione.

Quali potenzialità dal Fondo Impresa Femminile del PNRR?

Tra pochissimi giorni si aprirà il bando Fondo Impresa Femminile, l’incentivo che ha quale finalità il supporto alla nascita, allo sviluppo e al consolidamento delle imprese guidate da donne.

L’importo complessivo di questa misura si aggira attorno ai 200 milioni di euro, di cui 160 milioni di risorse PNRR e 40 milioni previsti dalla legge di bilancio 2021. Attenzione, perché non sono tutti in regalo: in parte si tratterà effettivamente di contributi a fondo perduto, ma saranno resi disponibili anche finanziamenti agevolati per la restituzione. I moduli per presentare domanda sono già disponibili (e se qualcuna è interessata, conviene avviarsi per tempo).

Let’s get digital

Dobbiamo aspettare il 5 maggio per l’apertura del bando, ma la sezione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) dedicata alla «Creazione di imprese femminili» menziona esplicitamente il supporto ai progetti che apportino un contributo in termini di innovazione. E qui abbiamo un problema.

Perché se è vero che le imprese femminili italiane sono più resistenti e puntano maggiormente sul capitale umano, è altrettanto vero (almeno, stando al profilo fornito da CRIF), che l’88% di esse ha un grado di digitalizzazione basso (contro il 61% della media nazionale). E che ad avere dotazione medio-alta o alta di digitalizzazione sono solo il 5% delle imprese femminili, mentre la media nazionale sfiora il 17%.

Quali i benefici complessivi?

In ambito economico, è consistente la letteratura che dimostra che un empowerment economico delle donne comporta dei benefici collettivi: quando una donna inizia a lavorare e a produrre reddito, aumenta il suo potere contrattuale all’interno della famiglia con conseguenze positive in termini di salute deə figliə, di istruzione, di scelte virtuose sull’alimentazione della famiglia.

Ma questo è vero anche sotto un profilo macroeconomico. Quali risultati possiamo aspettarci a livello di sistema economico grazie ai fondi in arrivo? Parte dei fondi sarà rivolta all’ampliamento delle imprese esistenti e parte sarà destinata alla creazione di nuove imprese. In particolare con l’incremento del numero delle imprese femminili, potranno aumentare le possibilità per le donne di scegliere liberamente sulla propria vita e di autodeterminarsi.

Il nostro Paese potrà valorizzare quella parte di capitale umano femminile che sinora rimane ampiamente sottoutilizzata. E chissà che la creazione di questi nuovi microcosmi valoriali, oltre che imprenditoriali, non contribuisca alla creazione di una massa critica che sposti l’ago della bilancia verso una gestione della produzione e delle risorse umane meno muscolare.

Quale sarà il compito di noi donne, in tutto questo? Liberarci della sindrome dell’impostora. Andare a prenderci questi fondi. E non lasciarne inutilizzato neppure un centesimo.

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