Diritti

Molestie sul lavoro: la legge che (ci) servirebbe

Più di 1 donna su 2 subisce abusi a lavoro. Secondo Fondazione Libellula, molte non reagiscono “efficacemente” o non sanno come fare. Il Dl della senatrice Valeria Valente (Pd) punta a colmare il vuoto legislativo
Credit: Lawrson Pinson/unsplash
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
16 gennaio 2023 Aggiornato alle 13:00

Più di 1 donna su 2 in Italia ha subito molestie o discriminazioni sul posto di lavoro. 1 su 5 ha subito contatti fisici indesiderati. Più della metà è stata vittima di commenti espliciti non richiesti. Secondo l’Istat, le donne italiane che hanno subito qualche forma di violenza di genere sul luogo di lavoro sono 1 milione e 404.000. Solo tra il 2015 e il 2016.

Nel giugno 2019 l’Organizzazione internazionale del lavoro ha approvato la Convenzione 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro – recepita dalla Legge 4/2021 – che ha sancito l’obbligo di adottare misure normative coerenti poiché “la violenza e le molestie nel mondo del lavoro possono costituire un abuso o una violazione dei diritti umani e che la violenza e le molestie rappresentano una minaccia alle pari opportunità e che sono inaccettabili e incompatibili con il lavoro dignitoso”.

Eppure, nel nostro Paese non esiste il reato di molestia sessuale sui luoghi di lavoro. Ora Valeria Valente, senatrice Pd ed ex Presidente della commissione d’inchiesta sul femminicidio, vuole cambiare la situazione. Ci aveva provato nella scorsa legislatura, senza successo: dopo l’approvazione di un testo unico, ha detto, il decreto non era arrivato in aula per l’opposizione della Lega. Adesso ci riprova, ripartendo da zero.

Lo scorso 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ha presentato un nuovo disegno di legge dal titolo Disposizioni volte al contrasto delle molestie sessuali e delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Il Dl introdurrebbe la fattispecie di reato di molestie sessuali, aggravato se in ambito di studio o lavoro, punendo chiunque crei una situazione di disagio con minacce, atti o comportamenti indesiderati a connotazione sessuale violando la dignità della persona con la reclusione da 2 a 4 anni, pena aumentata della metà “se dal fatto commesso nell’ambito di un rapporto di lavoro con abuso di autorità deriva un clima intimidatorio, degradante e offensivo”.

Quello dell’abuso di autorità è un fenomeno che molte donne conoscono bene: secondo i dati diffusi nell’estate 2022 da Fondazione Libellula, infatti, anche se i responsabili sono nella maggior parte dei casi i colleghi (55%), le molestie sono spesso prerogativa anche di capi (19%) o altri responsabili (6%).

In questo mese e mezzo il testo di Valente – che introduce anche campagne di comunicazione per “informare e sensibilizzare”, il rafforzamento delle tutele di chi presenta denuncia, piani formativi di prevenzione e l’adozione di codici etici o di condotta per la Pubblica Amministrazione – non ha ancora visto la luce, segno che sul tema delle molestie sul lavoro la strada è ancora lunga. A partire dalla definizione.

Cosa si intende per molestia? Solo il palpeggiamento e il ricatto sessuale? O anche le “battute goliarde” a sfondo sessuale che sono una costante in moltissimi luoghi di lavoro?

L’articolo 26 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 - il cosiddetto Codice delle pari opportunità tra uomo e donna - definisce molestie “quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”. Una definizione che, nella sua essenza, anche se con parole diverse, ritroviamo anche nel Codice di Condotta Europeo.

La lavoratrice o il lavoratore che sporge denuncia per molestie non può essere licenziatə né penalizzatə in altro modo (legge 27 dicembre 2017, n. 205, comma 3-bis) e il datore di lavoro ha l’obbligo di “assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l’integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, di natura informativa e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro” (comma 3- ter).

Eppure, ancora oggi pochissime persone reagiscono: meno della metà secondo Fondazione Libellula. Il 58% delle donne intervistate, infatti, “non reagisce efficacemente”: il motivo più comune (38%) è la paura di passare come una persona troppo aggressiva o “quella che se la prende”, mentre l’11% non sa come fare.

Un dato confermato anche dall’indagine diffusa dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) e Fondazione Lloyd’s Register e Gallup, che nel 2021 ha coinvolto quasi 75.000 lavoratrici e lavoratori di 121 Paesi, che ha rivelato che più di 1 persona su 5 (quasi il 23%) ha subito violenza e molestie di natura psicologica o sessuale nell’ambito di lavoro. Tra loro, però, solo poco più della metà (54,4%) ha condiviso la propria esperienza con qualcuno, e spesso solo dopo averne vissuta più di una forme di violenza e molestie. Le persone erano anche più propense a dirlo ad amici o familiari, piuttosto che usare altri informali o canali formali. I motivi? La paura che fosse una “perdita di tempo” e “paura per la propria reputazione”.

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