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Molestie: perché nemmeno l’arte le denuncia?

Da alcuni giorni è tornato in auge il tema degli abusi nei confronti delle attrici. Debora Zuin dell’associazione Amleta ci spiega come scardinare questo sistema, che si nutre di ricatti morali
Credit: Deborazuin.com  
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
13 gennaio 2023 Aggiornato alle 20:00

C’è chi da trent’anni indice provini a tarda notte in teatri vuoti. Chi li fissa direttamente a casa propria, o a cena in un ristorante chic.

Chi invia in chat ad aspiranti attrici le foto del proprio pene, chi chiude ragazze per ore in camerini, chi palpa il seno o il sedere sul palco, chi arriva a minacciare o a instillare il dubbio che a sbagliare non sia lui ma la donna che ha di fronte perché «per questa scena ho bisogno di vedere il tuo corpo e se ti rifiuti vuol dire che questo lavoro non lo puoi fare».

Si potrebbe andare avanti all’infinito a elencare la sterminata varietà di abusi e violenze che le attrici subiscono quotidianamente nel proprio ambito di lavoro. Tutte diverse ma allo stesso tempo tristemente simili, testimonianza di un sistema radicato che l’associazione Amleta sta provando a scardinare.

Impegnata nel contrasto a questi fenomeni, alcuni mesi fa ha lanciato la campagna social #apriamolestanzediBarbablù volta a raccogliere testimonianze in merito. Tornata in questi giorni prepotentemente alla ribalta, sta dando vita a un movimento che in molti hanno già ribattezzato il #MeToo italiano, anche se, come spiegato dall’attrice teatrale e parte del collettivo di Amleta, Debora Zuin, al momento parlare di rivoluzione è troppo presto.

L’attenzione che state ricevendo può aiutare a cambiare le cose?

Spero di sì. Mi auguro almeno rende tutti più consapevoli di quello che succede. Sulle donne che lavorano nel mondo dello spettacolo aleggia ancora un certo pregiudizio, perché in fondo si tratterebbe di un lavoro che non è un lavoro, in cui i confini sarebbero ambigui mentre invece non è affatto così. Cerchiamo quindi di sfruttare l’eco mediatico di questi giorni, che durerà poco, per far sentire la nostra voce e portare avanti determinate richieste.

Quali?

Il riconoscimento del reato di molestia anche nel nostro ambito e l’adozione dei codici di condotta da parte di tutti i teatri, che esistono e sono pensati per proteggere non solo chi lavora in quelle strutture ma anche chi si reca lì per un provino o altro. Peccato che quasi nessuno li applichi.

I teatri restano così quasi delle zone franche di impunità?

Spesso sì, ma non solo loro, per questo stiamo per lanciare un questionario da somministrare a chi lavora nel nostro settore volto a capire quali siano i luoghi in cui avvengono molestie, violenze e casi di mobbing. Anche se grazie alle testimonianze che ci arrivano molte cose ovviamente già si sanno vorremmo arrivare a una vera e propria mappatura per capire dove manca maggiormente il controllo.

Alcuni luoghi meritano attenzione particolare?

Sicuramente le Accademie di cinema e teatro, dove le vittime sono molto giovani, inesperte e spesso non ancora corazzate per capire e far fronte a certi atteggiamenti.

Anche i provini per il cinema immagino si prestino

Certamente. È sempre stato così ma oggi ancora di più perché oltre a quelli organizzati dalle agenzie molti viaggiano in rete o si diffondono tramite messaggi privati, e queste modalità sono meno controllabili, anche se ultimamente grazie al passaparola e al nostro lavoro, capita di riuscire a intercettare situazioni ambigue o finti casting prima che avvengano.

Quali sono gli abusi più ricorrenti?

La palpata al seno, al sedere o in altre parti del corpo, non passa mai di moda ed è la modalità che va per la maggiore. Ma non mancano le violenze psicologiche che si concretizzano nell’invio di immagini o messaggi sgraditi, commenti fuori luogo e minacce di non lavorare. Atteggiamenti che spesso si insinuano per mesi o anni nelle menti di chi li subisce, soprattutto se ragazze molto giovani.

I molestatori sono quasi sempre seriali e operano protetti dal sistema e dai microcosmi che li circondano e generano quel senso di impunità che porta alcune persone a continuare con lo stesso schema per anni, senza che nessuno faccia nulla.

Il #MeToo in Italia non ha mai attaccato, perché?

Perché manca la sensibilità collettiva. Il maschilismo e il patriarcato influiscono in modo massiccio su tutto ciò che accade e non è un caso che, a esempio, Asia Argento non sia stata creduta come negli Stati Uniti e anche qualcosa sembrava poter cambiare con casi come quello che ha coinvolto Fausto Brizzi, alla fine non sia successo perché arriva sempre il momento in cui ci si scontra con il muro di gomma dell’omertà e della difesa d’ufficio.

Il silenzio delle attrici note pesa?

Indubbiamente la loro voce potrebbe essere utile ma se non parlano probabilmente è perché non hanno nulla da dire o perché il nostro è un ambiente in cui ci si conosce tutti e sembra sempre di puntare il dito contro il proprio vicino di casa.

Viviamo in un sistema che si nutre di ricatti morali e se ti esponi può capitare di non lavorare più a certi livelli.

Perché le attrici non denunciano apertamente, e quindi con nomi e cognomi, i propri abusanti?

Perché l’ambiente è piccolo e le ripercussioni possono essere tante. Senza contare che fare un nome alla stampa significa ricevere una querela il giorno dopo, che quasi sempre non fa altro che zittire chi denuncia. Chi ha possibilità economica o molta tenacia a volte va avanti e magari poi le si apre la carriera ma è molto raro perché chi subisce un abuso si sente sola.

Per questo la nostra missione è proprio quella di proteggere chi si rivolge ad Amleta tutelandone la privacy perché crediamo che il punto non sia andare a caccia del singolo ma scardinare un sistema.

Certe questioni vanno trattate nei luoghi e nei modi idonei, solo così c’è la possibilità di arrivare a risultati concreti. Per questo aiutiamo molte attrici impegnate in percorsi giudiziari facendoci affiancare dagli avvocati di Differenza Donna e la Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano.

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