Futuro

Il linguaggio nascosto (o forse no) dei meme

Il più delle volte ci strappano un sorriso ma secondo gli studi sono anche un mezzo potentissimo per diffondere valori, opinioni e persino pratiche sovversive. Il rovescio della medaglia? Possono diffondere fake news
Credit: Annie Lang/unsp
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
6 gennaio 2023 Aggiornato alle 11:00

Ci fanno ridere e rendono il tempo che passiamo sui social degno di essere sprecato. Su Instagram nel 2020 ne sono stati condivisi oltre un milione. Al giorno. Quello che forse non sai, però, è che secondo la scienza i meme sono anche un mezzo potentissimo per diffondere idee e valori.

Secondo i ricercatori che studiano le moderne forme di comunicazione, infatti, i meme sono un linguaggio a sé, che ha la capacità di trascendere le culture e costruire identità collettive. Non solo: rappresentano anche un veicolo per l’autoespressione, la connessione, l’influenza sociale e persino la sovversione politica.

«Sono una delle manifestazioni più chiare del fatto che esiste qualcosa come la cultura digitale. - ha spiegato Paolo Gerbaudo, lettore di politica digitale e direttore del Centre for Digital Culture del Kings College di Londra alla BBC - Una sorta di linguaggio già pronto con molti tipi di stereotipi, simboli, situazioni. Una tavolozza che le persone possono usare, proprio come gli emoji, in un certo senso, per trasmettere un certo contenuto».

Per essere precisi, quando parliamo di meme che viaggiano sul web dovremmo specificarlo: il termine, infatti, è nato prima della rete per mano di Richard Dawkins, un biologo evoluzionista che lo ha coniato nel suo libro del 1976 The Selfish Gene, abbreviando l’antica parola greca mimeme per indicare «melodie, idee, slogan o frammenti di informazioni che saltano da un cervello all’altro attraverso l’imitazione, accelerando la loro trasmissione».

È evidente come le immagini che diventano virali sui social rientrino a pieno in questa definizione e, in un certo senso, ne siano una delle manifestazioni più evidenti. Solo per fare un esempio, secondo uno studio di Facebook del 2014 citato dalla BBC, un unico meme ha avuto 121.605 diverse varianti, pubblicate in oltre 1,14 milioni di aggiornamenti di stato.

Che i meme siano super popolari, però, non è una novità. Ma cosa li rende così potenti?

Il motivo del loro potere risiede in gran parte nella capacità di catturare un sentimento, un’esperienza o uno stato mentale che fa scattare qualcosa nelle persone a seconda della nicchia nella quale è inserito. Uno studio ha rilevato che le persone con depressione hanno valutato i meme correlati alla depressione come più divertenti, riconoscibili e condivisibili, un elemento che potrebbe tradursi in una percezione del supporto sociale e della connessione emotiva. Non si tratta di uno studio isolato: altre ricerche hanno suggerito che i meme possono contribuire «alla formazione di un’identità collettiva tra gruppi emarginati come la comunità Lgbtq+ o tra reti di persone disparate, come quelle che sono state concepite con sperma o ovuli donati».

Non è tutto qui. I meme hanno il potere di influenzare quello che pensiamo secondo Joshua Nieubuurt, dell’Università del Maryland negli Stati Uniti e l’Università di Okinawa in Giappone e possono essere considerati addirittura un moderno equivalente digitale dei volantini di propaganda e influire sulla partecipazione politica, come mostrano i risultati di uno studio secondo cui 30 meme politici consistenti in video o gif (creati in gran parte da cittadini) hanno accumulato più di 45 milioni di visualizzazioni durante le elezioni britanniche del 2017.

In alcune situazioni i meme possono essere anche un modo per superare divieti e censure. È il caso del Rice bunny (米兔), diventato popolare nel 2018 come parte del movimento globale #MeToo tra le donne per denunciare le molestie sessuali. Come spiega Helen Brown, in Cina, dove la censura di Stato ha bloccato gli hashtag relativi alla campagna, le donne hanno utilizzato queste due immagini apparentemente innocue per diffondere il loro messaggio: la pronuncia delle parole una accanto all’altra, infatti, è mi tu.

Questo non significa che i meme non possano finire sotto la scure della censura, soprattutto nei regimi più autoritari, ma come ha spiegato il tecnologo e scrittore An Xiao Mina sul Journal of Visual Culture, per eludere il controllo dei censori statali (umani o meccanici) una strategia è proprio quella di incorporare i messaggi degli attivisti all’interno di immagini semplici, come un simpatico gatto, e farli apparire come contenuti banali e apolitici, riducendo le possibilità che siano bloccati e bannati.

«Nel mondo di oggi i meme sono i semi da cui crescono i movimenti sociali. - dice Xiao Mina nel suo libro Memes to Movements - Ma per fiorire, devono trovare la loro casa nel terreno fertile delle menti e delle culture».

Come tutti i linguaggi intrinsecamente potenti, però, anche i meme hanno un lato molto meno divertente ed educativo.

Con la loro capacità di essere diffusi, riprodotti, adattati, possono infatti essere un formidabile veicolo per diffondere disinformazione e teorie del complotto, come è evidente non solo da casi endemici e estremi come lo strettissimo rapporto che negli Usa lega meme, alt right e suprematismo bianco, ma anche i moltissimi fake che tutti abbiamo visto sui nostri feed, dall’attrice Krysten Ritter spacciata per la sorella minore di Laura Boldrini – peraltro morta molto giovane – in pensione a soli 35 anni, 10.000€ al mese a Magic Johnson e Samuel Jackson scambiati per due migranti che facevano shopping di lusso a Forte dei Marmi, per citare due esempi tra tantissimi.

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