Culture

Parolacce, linguaggio universale

Il team di ricercatori guidato da Shiri Lev-Ari e Ryan McKay ha chiesto a oltre 200 persone che parlavano 5 lingue diverse di elencare le parole più offensive nel proprio idioma: le lettere l, r, w e y non ricorrevano quasi mai. Perché?
Thiébaud Faix/unsplash
Thiébaud Faix/unsplash
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
18 dicembre 2022 Aggiornato alle 11:00

Le parolacce ci affascinano da sempre. Come sono nate? Meglio evitarle o fanno parte di diritto del folklore linguistico? Perché, secondo quanto dimostrato da varie ricerche scientifiche, urlarle a squarciagola consentirebbe di tollerare più facilmente stimoli fisici dolorosi?

Una cosa è certa: «Le parolacce non nascono parolacce, sono solo parole». A dirlo è Nicolas Cage nella docuserie History of Swear Words targata Netflix, che nel corso di 6 episodi indaga lo sviluppo e l’evoluzione del turpiloquio.

Uno studio pubblicato sulla rivista Psychonomic Bulletin & Review e riportato dal New York Times, ha rilevato che le parolacce in diverse lingue non correlate fra loro suonano allo stesso modo. Il team, guidato da Shiri Lev-Ari e Ryan McKay, ha coinvolto 100 persone che parlavano 5 lingue appartenenti a ceppi differenti, a cui è stato chiesto di elencare le parole più offensive del proprio idioma, escludendo gli insulti razzisti.

Dopo che i partecipanti, di madrelingua ebraica, hindi, ungherese, coreana e russa hanno compilato un elenco di epiteti volgari usati più di frequente, gli studiosi li hanno confrontati con parole neutre della stessa lingua, scoprendo che il turpiloquio tende a non utilizzare le lettere l, r, w e y. Secondo gli esperti, questi fonemi potrebbero essere meno adatti alla comunicazione di un messaggio volgare.

In una fase successiva della ricerca, il team di ricercatori ha domandato a 215 soggetti che parlavano 6 lingue diverse di valutare coppie di locuzioni inventate, alcune delle quali includevano una o più di queste lettere. Durante l’esperimento le persone coinvolte sono risultate significativamente meno propense a considerare le parole con le approssimanti (cioè le consonanti l, r, w e y) come insulti o volgarità. Per esempio il vocabolo albanese zog, uccello, è servito per creare la coppia di parole false yog e tsog e i partecipanti hanno più spesso indicato tsog come termine offensivo.

Nel 63% dei casi le espressioni prive di questi suoni erano invece associate a una imprecazione. Questo suggerirebbe che potrebbero esistere tratti comuni nel modo in cui le parolacce si sono evolute nelle diverse lingue e l’esistenza di un possibile modello universale per le parole scurrili.

«In inglese alcune delle più volgari sembrano avere proprietà fonetiche comuni», ha detto Ryan McKay, psicologo alla Royal Holloway di Londra. Sono spesso brevi, incisive e tendenzialmente includono i suoni p, t o k, chiamati consonanti di arresto perché interrompono il flusso d’aria in bocca mentre si parla.

Le lingue francofone costituiscono invece un’eccezione: nonostante i suoni particolarmente dolci che le caratterizzano, esistono varie parolacce o offese che contengono le consonanti l, r, w e y, anche se gli stessi partecipanti all’esperimento che parlavano francese erano più propensi a considerare volgari le locuzioni senza queste lettere

Qualcosa di simile avviene anche con i suoni onomatopeici: per esempio, le parole che descrivono il miagolio di un gatto o il canto di un gallo sono simili in molte lingue. A livello globale, inoltre, quelle che descrivono l’apparato nasale spesso includono il suono N.

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