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Chi dorme non piglia pesci… ma impara le lingue!

4 ricercatori europei si sono chiesti se sia possibile memorizzare nuovi termini nel sonno. Il loro test sperimentale mostra che - forse - è così
Credit: DS Stories
Tempo di lettura 4 min lettura
13 ottobre 2022 Aggiornato alle 16:00

Hai mai provato a imparare una lingua nel sonno? Lo faceva anche Dexter, il piccolo scienziato dai capelli arancioni e i guanti viola che su Cartoon Network si dedicava agli esperimenti più strampalati nel suo piccolo laboratorio sotterraneo. Ma si tratta di pura fantasia o di un apprendimento scientificamente possibile? Alcuni ricercatori francesi e belgi hanno deciso di scoprirlo.

Grazie alla tecnica del neuroimaging, che consente di visualizzare l’attività cerebrale e restituire un’immagine del cervello in azione mentre esegue un compito o viene esposto a uno stimolo, «sappiamo che il cervello è tutt’altro che inattivo mentre dormiamo», spiega su The Conversation Matthieu Koroma, ricercatore della Université de Liège, in Belgio. La memorizzazione delle informazioni, però è tutto un altro discorso.

Nel 2012 è stato dimostrato che gli esseri umani, già in grado di rafforzare i ricordi acquisiti in precedenza, possono anche imparare nuove associazioni mentre dormono. Per esempio, è stato svelato che gli individui che desideravano smettere di fumare hanno ridotto il consumo del 35% quando l’odore del tabacco veniva presentato nel sonno in associazione all’odore sgradevole del pesce marcio.

Per quanto riguarda l’acquisizione di una lingua straniera, i ricercatori Sid Kouider dell’École Normale Supérieure di Parigi, Maxime Elbaz e Damien Léger del Paris Hospitals Public Trust e Matthieu Koroma hanno ideato un protocollo per imparare il significato di termini giapponesi durante il sonno. La scelta del giapponese non è casuale: «ha una struttura relativamente semplice con un numero limitato di possibili unità di sillabe. A esempio la parola neko, che significa gatto, comprende due unità: ne e ko. Non contiene un sistema di toni complesso come altre lingue dell’Asia orientale e presenta una fonologia in qualche modo simile a quella del francese o dell’inglese». Il significato però è spesso molto distante da queste due lingue, dunque i soggetti sarebbero stati in grado di distinguere facilmente i suoni, ma non i loro significato.

Ai 22 adulti sani reclutati, che non avevano alcuna conoscenza pregressa del giapponese o di altre lingue dell’Asia orientale, sono state mostrate coppie di suoni e immagini mentre erano svegli, come per esempio un cane e il suo verso. Poi, mentre dormivano, i ricercatori hanno riprodotto i suoni insieme ai termini corrispondenti in giapponese, in questo caso inu, che indica il migliore amico dell’uomo. La mattina seguente, «abbiamo chiesto ai soggetti di scegliere tra due immagini per trovare l’equivalente in giapponese, notando che la capacità degli individui di fare l’abbinamento era basata sull’abilità piuttosto che sulla fortuna».

Utilizzando l’elettroencefalogramma, che registra i fenomeni elettrici derivanti dall’attività cerebrale, «siamo stati in grado di prevedere quali parole sarebbero state ricordate al risveglio dei soggetti». I termini ricordati hanno generato onde cerebrali più lente di quelle dimenticate, quindi il cervello sembrerebbe essere in grado, in effetti, di imparare nuove parole e associarle a un significato, anche se i ricercatori non sanno «se questo possa portare a risultati a lungo termine e se dipenda dalle differenze individuali nella capacità di memoria», spiega Koroma.

Inoltre, è chiaro che da svegli i soggetti imparano in modo molto più efficiente: «L’apprendimento lento e implicito che eseguiamo mentre dormiamo è molto diverso da quello rapido ed esplicito delle nostre ore di veglia». Per questo bisognerebbe considerare gli stati di veglia e di sonno come complementari perché, concludono i ricercatori, «l’apprendimento del sonno è un modo ottimale per consolidare le informazioni acquisite durante la veglia».

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