(Ann Danilina)
Futuro

Lo sleep day 2022 racconta il sonno malato

È un mondo, il nostro, che non riposa più. E non è solo questione di età: dormono poco anche gli under 30. Lo dicono i dati in occasione della Giornata del sonno. E lo conferma la neuroscienziata Chiara Cirelli, vincitrice dello “Sleep award 2022”, il massimo riconoscimento internazionale per gli studi sulla materia
di Luca Baroni
Tempo di lettura 6 min lettura
18 marzo 2022 Aggiornato alle 13:57

È tutto un complesso di cose a far sì che la Giornata del sonno di venerdì 18 marzo sia molto di più di una curiosità. Ideato nel 2008 dall’Associazione mondiale della medicina del sonno, lo Sleep day cade in quello che sarà ricordato (anche) come il 2022 del sonno malato. La primavera di un’Italia, e di un mondo, che non riposano più.

Secondo il Progetto di ricerca sulla qualità di vita in pandemia Lost in Italy, i casi di insonnia hanno registrato a confronto con il 2019 un +22%. E sono +128% coloro che denunciano sonni insufficienti, frammentati. Ormai 1 italiano su 2 avrebbe notti difficili.

C’è stato poi un +26% di ricerche online sul tema nell’ultimo anno, secondo un rilevamento Bva Doxa: è praticamente raddoppiato l’interesse per materassi e cuscini mirati e, naturalmente, per farmaci e integratori antinsonnia e antistress, con una preoccupante crescita, secondo il marchio del delivery farmaceutico Pharmap, di acquisti da parte degli under 30.

Giovani e giovanissimi sarebbero oggi tra i primi consumatori di prodotti per dormire. Ancora, sono cresciuti gli incubi, come ha evidenziato un innovativo studio del dipartimento di Psicofisiologia del sonno dell’università La Sapienza di Roma, specie per chi ha avuto il Covid, anche in forma lieve. Con uno strascico naturale di irritabilità, nervosismo e depressione. Tanto che il docente a capo dell’indagine, Luigi De Gennaro, è arrivato a parlare di sintomi, acuti e diffusi, da “stress postraumatico”.

Ora, quale sia stato il trauma che ha stravolto le notti è chiaro. Due anni di allarmi, preoccupazioni sanitarie ed economiche, troppe sere davanti a telegiornali sempre più ansiogeni hanno lasciato il segno. Ma più ancora hanno mandato il tilt il ciclo circadiano (cioè il ritmo sonno-sveglia più o meno rispettoso delle ore di sole) le abitudini imposte dall’emergenza: tanta casa, poco movimento, tantissime ore con un cellulare in mano, lo smartworking che va a disassemblare ritmi e porzioni della giornata in una giostra incerta di riposo e lavoro, casa e mondo, noia e iperstimolazione.

«Diciamolo, però. Il sonno non stava bene neanche prima, non stava bene da un po’» spiega la professoressa Chiara Cirelli, docente italiana a Madison, Wisconsin, sede di uno dei maggiori Centri di studio sul sonno al mondo. «La luce elettrica e la vita metropolitana già da un secolo hanno attaccato il ritmo del sonno perfezionato in milioni di anni di evoluzione. E le nuove tecnologie da anni complicano ulteriormente le cose».

Già, solo stando accesi gli schermi piccoli e grandi che dominano le nostre vite “mimano” il sole e allontanano il sonno, oltre a tenerci in allerta con mille altri segnali e stimoli. L’insonnia come male sociale, tanto che si moltiplicano le “cliniche”, app e sveglie smart dedicate. E gli sleep coach, “allenatori del sonno” che insegnano a ritrovare i sogni perduti con l’igiene del sonno, un insieme di indicazioni personalizzate che vanno dalla dieta agli orari da rispettare, dalla posizione del letto alle luci.

Lo Sleep day nasce però soprattutto per fare il punto sugli studi sul tema. Cosa sappiamo esattamente sul sonno? A cosa serve e come funziona? Perché tutti i viventi, dall’uomo alla formica, devono dormire? Ora, se c’è una persona che negli ultimi anni si è davvero avvicinata ai meccanismi profondi del sonno, per molti versi il sacro Graal della fisiologia, è la professoressa Cirelli. Ferrarese, studi a Pisa, esperta di neuroscienze ma soprattutto vincitrice dello Sleep award 2022, tra i massimi riconoscimenti internazionali per gli studi sulla materia, che le sarà assegnato il prossimo 6 maggio a Roma.

«La cosa urgente da capire è quali possano essere le conseguenze anche a lungo termine delle varie forme di deprivazione del sonno», riassume. «Se prima ci si concentrava su chi ha problemi cronici, patologici, questi ultimi anni ci hanno costretti a studiare il cattivo sonno diffuso, quello con cui in qualche modo si convive, tutti, ma non sappiamo con quali effetti nel tempo. Intuiamo che un periodo di notti tormentate incide sull’attività cerebrale a lungo. Non basta una notte senza incubi per recuperare, segno che il “danno” è profondo, nascosto. Intuiamo che il sonno incide sulla nostra memoria, sulla soglia di attenzione, sulla capacità di ricevere e valutare le informazioni, di imparare e prendere decisioni e, soprattutto, di adattarsi all’ambiente, ai cambiamenti e ai traumi».

Siamo, per così dire, quello che dormiamo, in una misura che forse finora non si sospettava. Ma ecco la domanda delle domande: perché si dorme? «La teoria a cui lavoro ormai da vent’anni, anni in cui abbiamo avuto per la prima volta i mezzi di studiare il cervello a livello molecolare, “in diretta”, nell’uomo e in altre specie, vedendo esattamente cosa succede tra sonno e veglia, è detta dell’Omeostasi sinaptica. Semplificando molto, la teoria è che da svegli le sinapsi, le connessioni fra cellule nervose, siano sempre e comunque attive e sollecitate, solo per il fatto di essere sveglie. Le attività ‘mirate’ del cervello - studiare, concentrarsi… - si sommano a questa attività già per sé dispendiosa (il cervello è l’organo che consuma più zuccheri ed energia, ndr)».

«Dormendo, scollegati da ogni stimolo esterno, il cervello procede a un’opera di “pulizia”» continua la studiosa. «Vengono eliminate e depotenziate le sinapsi che, durante il giorno abbiamo usato meno, probabilmente attraverso un meccanismo di ‘riassorbimento’ dei recettori attivati. Tutto ciò servirebbe ad alleggerire un sistema che, altrimenti, rischia il sovraccarico e lo stress»

Ma cosa succede se si dorme male, e a lungo, e se si inizia e si vive la giornata già sovraccaricati? L’ipotesi è che alla lunga divenga più difficile per il cervello ‘decidere’ quali sinapsi sono state meno usate e sono quindi sacrificabili. Si vanifica quel processo di filtro che tiene le sinapsi ‘pulite’ e forti. Insomma, c’è la possibilità che alla fine si abbiamo sinapsi più povere di quella plasticità e reattività che potrebbero essere fondamentali per mantenere il cervello in salute a lungo, o per renderlo più resistente a varie forme di stress».

Ancora più in sintesi, un sonno sbagliato porta a un cervello confuso tra sonno e veglia, notte e giorno, allerta e relax. Un cervello incapace di “staccare” davvero e, quindi, eternamente stanco. Aver passato troppe ore al cellulare o su Netflix invece di dormire ci complicherà la vita in vecchiaia? «Quello e ciò che dovremmo capire con i prossimi studi, non ci sono analisi a lungo termine. Quanto ai giovani, agli adolescenti, penso però a un recentissimo studio molto interessante effettuato sulle arvicole della prateria, un roditore molto sociale, con una forte identità di gruppo. Secondo lo studio se questi animali venivano a lungo deprivati del sonno perdevano in modo evidente anche la loro abilità sociale, la capacità di cooperare e stringere legami».

Come a dire che il sonno malato, alla fine, potrebbe renderci anche più soli.

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