Futuro

Cervelli in brodo

Uno studio pubblicato sulla rivista Current Biology rivela che la stanchezza mentale dipende dal livello di glutammato utilizzato come neurotrasmettitore che si accumula nella corteccia cerebrale dopo un particolare sforzo cognitivo
Credit: David Matos
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
15 agosto 2022 Aggiornato alle 11:00

In pochi, forse, si stupiranno di fronte a espressioni come “stanchezza mentale”, o “affaticamento cognitivo”. Che abbiamo sperimentato questa sensazione al termine di una giornata di lavoro, cercando di capire la strategia elettorale del Pd o trovando metodi coercitivi per arrivare alla fine di Breaking Bad, la maggioranza di noi ha un’idea approssimativa di questo concetto.

Ma il motivo per cui esercitare il controllo cognitivo può risultare estenuante risulta ancora poco chiaro. Studi di economia comportamentale e psicologia sociale hanno prodotto teorie collegate alla nozione di autocontrollo o autoregolazione, che esercitiamo per esempio resistendo a un impulso con l’obiettivo di ottenere una ricompensa a lungo termine.

Alcuni hanno parlato di esaurimento delle risorse, ipotizzando che l’esercizio di tale controllo possa attingere all’approvvigionamento energetico globale influendo sui livelli di glucosio nel sangue (glicemia). Tuttavia le prove a favore di queste teorie, secondo gli scienziati, mancano ancora di basi empiriche.

Ora una ricerca pubblicata sulla rivista Current Biology sostiene che lo sforzo cognitivo porta all’accumulo di glutammato (acido glutammico) utilizzato come neurotrasmettitore nella corteccia prefrontale laterale del cervello, la regione responsabile del processo decisionale e del controllo cognitivo.

Per verificarlo gli studiosi hanno condotto un esperimento di circa 6 ore e mezza su 40 partecipanti. A 24 di loro sono stati affidati compiti cognitivi difficili che cambiavano di frequente, mentre i restanti 16 sono stati sottoposti a esercizi semplificati con una variazione minima.

I ricercatori hanno quindi scansionato le cortecce prefrontali laterali di sinistra dei partecipanti utilizzando la spettroscopia di risonanza magnetica. A fine giornata, il primo gruppo aveva livelli di neurotrasmettitore glutammato più alti rispetto al secondo gruppo.

Per eliminare l’accumulazione di glutammato si innescherebbe un meccanismo di regolazione metabolica che riduce il controllo esercitato sul processo decisionale, favorendo così la scelta di azioni a basso sforzo con ricompense a breve termine.

Questo, secondo lo studio, «spiegherebbe perché il controllo cognitivo è più difficile da mobilitare dopo una faticosa giornata di lavoro». Al cervello, insomma, accadrebbe qualcosa di simile all’accumulo di acido lattico nei muscoli durante l’esercizio fisico.

La ricerca presenta ancora diversi aspetti speculativi. Non è chiaro, per esempio, come il corpo monitori i livelli del neurotrasmettitore per elaborare il rapporto costi-benefici del controllo cognitivo.

Ma è dimostrato che le concentrazioni di glutammato diminuiscano durante il sonno. Perciò adesso che avete finito di leggere l’articolo correte a riposarvi.

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