Diritti

STEM, linguaggio universale. Ma non per tuttə

“La matematica è roba da uomini” si dice, ma poi le insegnanti sono spesso donne. Perché solo ai matematici va il prestigio. E questo è un problema di genere, ruoli, ma anche di ricchezza e razzializzazione
Credit: ThisisEngineering RAEng/unsplash
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31 luglio 2022 Aggiornato alle 06:30

Lombok, Nusa Tenggara. Lily ha 13 anni, frequenta la settima classe e le piacerebbe essere promossa per studiare informatica. Mary è una sua compagna, sugli incisivi laterali ha quattro brillantini.

La sabbia imperla i loro pantaloni. Vendono braccialetti di tessuto per circa 10.000 rupie indonesiane, l’equivalente di 0.80 centesimi in euro. Sono chine sulla sabbia a scrivere con il dito. Contano, si consultano e completano. Tre alla seconda uguale nove. Si voltano e mi guardano per sapere se è giusto, e lo è. Mi chiedono un’operazione più difficile. Ficco il dito nella sabbia e scrivo, chiedendomi cosa si studi nella settima classe onde evitare di proporre cose troppo facili o troppo difficili.

Qualche tempo fa ricordo di aver sentito parlare della bellezza della matematica. Un linguaggio universale, che possono usare tutti. Come lo sport, qualcosa che ci unisce umanamente e via dicendo. Mi chiedo se sia vero o meno. La matematica potrebbe essere questo e tante altre cose, la chiave per far volare un’astronave come pure un’espressione bellissima in purezza risolta con un pennarello a tarda notte.

Però, a guardarla oggi, la matematica è un linguaggio che difficilmente si parla. “La matematica è roba da uomini”, così mi dicevano da piccola. E io ci credevo, mi piacevano le materie umanistiche e sicché ancora non sapevo che il genere fosse un’invenzione di gruppo, pensavo che davvero la matematica non fosse per me.

Il sospetto che ci fosse qualcosa di sbagliato è arrivato quando ho notato che sebbene la matematica - e la fisica e la chimica - fossero roba da uomini, le mie insegnanti erano sempre donne. La conferma che davvero le cose erano più contorte di come mi apparivano, l’ho avuta quando ho scoperto che le donne capivano benissimo la matematica come gli uomini, e allo stesso modo potevano non capirla, ma non erano altrettanto riconosciute. Un matematico è ammantato di prestigio, una matematica no. Al massimo poteva insegnare, perché quando di mezzo ci sono bambini o adolescenti si parla di ruoli da donne. E quando di mezzo ci sono il prestigio e stipendi alti, si parla di ruoli da uomini. Sebbene oggi la divisione sia più elastica, la proposizione gerarchica rimane.

Nella banalità della cosa, poche settimane fa Dario Bressanini, chimico e influencer, scriveva nelle sue storie di quanto gli sarebbe piaciuto studiare matematica. Per poi saltare a dire che il libro sulla matematica di Chiara Valerio (phd proprio in matematica) non aveva valore. La sua opinione di uomo meno prossimo alla materia veniva espressa come se avesse più importanza delle conoscenze effettive di Valerio. E ancora, saltando dalla matematica all’astrofisica, a Cristoforetti si imputa la colpa di non essere una madre devota, semplicemente perché data la sua specializzazione e la sua bravura può viaggiare nello Spazio. Cosa che, per qualche motivo, viene considerata antitetica all’identità funzionale di madre.

Non è solo una questione di genere e ruoli, ma anche di genere, ruoli e ricchezza. E di genere e ruoli e razzializzazione.

Il gap di genere accademico spiega chiaramente che alle bambine, nel mondo, viene permesso di studiare molto meno. Soprattutto se possono, con una dote matrimoniale, fruttare di più è più velocemente di quanto farebbero con un phd. Parlando di Indonesia, la questione si complica perché ogni regione ha le sue statistiche, rendendo evidente quanto effettivamente la comunanza di cultura e collocazione geografica possano interferire con le politiche di natura universalista. Senza un approccio specifico e misurato dopotutto non si possono comprendere le necessità specifiche e quindi non si possono realizzare opere programmatiche in grado di ottenere risultati diffusi e simili.

La scuola viene vista come un eccesso, ovvero qualcosa di cui si può e, più spesso, di cui è opportuno, fare in modo che le bambine facciamo a meno. Anche perché nonostante l’impegno, il divario educativo a un certo punto sfocia nel divario lavorativo e retributivo di genere per cui, come rilevato da ILO, le donne nel mondo sono pagate tra il 10% e il 30% in meno dei colleghi uomini a parità di mansioni.

In Indonesia, come riporta la Banca Mondiale, nonostante a scuola le bambini performino meglio, quando entrano nel mondo del lavoro sono retribuite in maniera largamente inferiore agli uomini. Quindi a che pro investire nella loro educazione?

Manca poi un tassello a tutto ciò, qualcosa che i dati non restituiscono ma che si intuisce osservando cosa il binarismo di genere con annessi ruoli e aspettative abbia tolto alle bambine: il diritto all’innovazione. Alle donne, e più in generale alle categorie oppresse, viene precluso l’equo accesso al mondo delle cose nuove, delle invenzioni, dei prodotti di ingegno elaborati ex novo. Basti pensare che, sebbene i settori umanistici siano considerati sufficientemente femminili da garantire un accesso più agevole anche alle donne, quando si parla di successi e ruoli riconosciuti le declinazioni vertono quasi sempre al maschile. Nonostante le donne tendano a leggere di più, quando si tratta di pubblicazioni, esse costituiscono la minoranza.

In Italia le donne rappresentano il 77% dei lettori e il 38% degli scrittori. Quello che viene definito reading divide è la cifra che misura una curiosità di settore non rispecchiata dalle possibilità lavorative.

E tornando alle STEM, secondo i dati raccolti da WEF e McKingsley e riportati da Forbes, nei paesi del Nord del Mondo le donne costituiscono appena il 35% del corpo studentesco, il 29,3% del personale impiegato in ricerca e sviluppo e appena 1,4% delle persone impiegate nel settore informatico. Queste statistiche, unite al fatto che gli uomini hanno circa il 33% di probabilità in più di accedere a una connessione internet, completa il quadro di quella serie di cose che sono poste fuori dalla portata delle bambine. Dalla possibilità di essere economicamente e burocraticamente indipendenti, dalla progettualità alla possibilità di sviluppare idee e innovazioni, le bambine che si approcciano alla scuola partono svantaggiate. Ancor di più quando sono povere, razzializzate, con disabilità o risiedono in paesi del Sud del Mondo.

E così la voragine si allarga. Unita ai tassi di analfabetizzazione e di precarietà relative a povertà, genere e provenienza diventa mostruosamente grande. Immensa. La matematica, come tanti altri saperi sta lì, sull’argine opposto. E alcune bambine, molte bambine, la possono appena intravedere. Un segno di sabbia soffiata dal vento.

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