Ambiente

Usa: una legge sul clima non così storica

Firmata il 16 agosto, l’Inflation Reduction Act non regola le emissioni climalteranti né pone uno stop ai sussidi alle fonti fossili. Principalmente, offre risorse economiche per tecnologie pulite. Aiutando il settore green senza sanzionare quello petrolifero
Credit: EPA/JIM LO SCALZO
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19 agosto 2022 Aggiornato alle 06:30

Joe Biden cerca il suo momento storico con la firma dell’“Inflation Reduction Act”.

La legge, firmata martedì 16 agosto dal presidente americano, è stata salutata in pompa magna dalla stampa e dai policy analist di oltreoceano.

“Il più grande investimento di sempre contro il climate change”, commenta la rete ABC, “Biden firmerà un disegno di legge radicale per affrontare il cambiamento climatico”, titola il Washington Post, e via a seguire.

Indubbiamente l’Inflation Reduction Act , meglio nota con l’acronimo Ira, è una delle leggi più importanti approvate durante il primo mandato di Joe Biden, visto il blocco ostile che si è ritrovato al Congresso, spaccato al Senato e indebolito da un manipolo di democratici conservatori, come Joe Manchin III (West Virginia).

Nella legge sono inclusi il più grande investimento in politiche ambientali della storia americana: 369 miliardi di dollari per cercare di ridurre l’emissione di gas serra del 40% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005.

Inizialmente però si sarebbero dovuti stanziare almeno 2.000 i miliardi di dollari per il clima, poi scesi a 555 miliardi nella versione presentata al congresso sotto il nome di Build Back Better.

Ora la legge, data per morta fino a due settimane fa, è passata al Senato per un soffio con un nome incentrato sulle politiche di riduzione dell’inflazione, e grazie all’inclusione di inderogabili decisioni sulla riduzione dei prezzi dei farmaci da prescrizione (da sempre iper-inflazionati dall’industria farmaceutica Usa) e dell’istituzione di una tassa minima sui profitti delle mega-corporation.

Come da tradizione americana la nuova legge sul clima non regola emissioni, blocca infrastrutture ed estrazione di oil&gas o pone uno stop ai sussidi alle fonti fossili, ma offre principalmente risorse economiche per tecnologie pulite, principalmente crediti d’imposta e sconti per pannelli solari, turbine eoliche, pompe di calore, efficienza energetica e veicoli elettrici.

Si aiuta il settore green, non si sanziona quello petrolifero.

Tra i capitoli delle voci di spesa decine di miliardi alle rinnovabili, 20 miliardi per le nature based solutions in agricoltura, 5 miliardi per la tutela delle foreste, 27 miliardi di dollari per acceleratori tecnologici per supportare la diffusione di tecnologie che riducono le emissioni e 2 miliardi per la ricerca nei laboratori governativi.

La legge storica però non è così radicale e efficace.

Innanzitutto l’obiettivo di riduzione del 40% delle emissioni di gas serra entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005 non è nemmeno comparabile al 55% dell’Unione europea.

Inoltre i modelli di valutazione d’impatto mostrano che l’Ira potrebbe avere riduzioni delle emissioni inferiori a quanto proposto (il modello generato dalla consultancy firm Rhodium calcola una forbice di riduzioni di emissioni di gas serra tra il 31% e il 44%), specie se ci saranno ritardi nei processi di esborso e negli impatti dei singoli progetti finanziati.

La riduzione di ambizione di Biden rispetto al piano originario è significativa: - 1631 miliardi di dollari. Pochissime regolamentazioni per l’industria dello stato petro-capitalista per eccellenza.

Sebbene si assisterà a una grande riduzione nei consumi di carbone, non si verificheranno significative modifiche nei trend di aumento delle estrazioni di gas (che al più vedranno nuove tecnologie obbligatorie per catturare le emissioni fuggitive di metano, il secondo più pericoloso dei gas serra dopo la CO2).

I giovani democratici e gli attivisti per il clima (americani e non) bramano di più.

Per loro (e il sottoscritto) l’Ira è solo un acconto per la sfida climatica americana, e rischia di essere un palliativo per tanti elettori ed elettrici che crederanno che Washington DC abbia davvero risolto la questione del cambiamento climatico.

Scienziati e analisti ci dicono che questo è solo un primo passo. Importante, ma non certo risolutivo.

Dice bene la mia collega Lisa Friedman sul New York Times: “Per azzerare le emissioni entro il 2050, il Congresso dovrebbe assumersi il complesso onere politico di tassare, penalizzare, vietare o eliminare gradualmente l’inquinamento da carbone, petrolio e gas che sta guidando il riscaldamento globale”.

Questo significa regolare il settore delle fossili, parola che genera terrore a Washington, data la forte connotazione politica. L’Ira è solo una carota per il settore delle rinnovabili e un amabile spending bill. Il prossimo passo, da intraprendere entro il 2024 è quello del bastone regolatore.

Ma si avvicinano le elezioni di medio termine (novembre 2022) e difficilmente i democratici amplieranno il controllo di Capitol Hill.

La paura è che il bastone lo prendano i reazionari repubblicani, per bastonare i pochi risultati ottenuti.

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