Ambiente

Con le zone a basse emissioni non ci siamo

Secondo la campagna Clean Cities, entro il 2025 in Europa ci saranno 500 Low Emission Zones. Un trend in aumento ovunque ma non in Italia, dove la situazione è tra le peggiori
Lo smog di Milano nel 2020
Lo smog di Milano nel 2020 Credit: EPA/MATTEO CORNER
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8 agosto 2022 Aggiornato alle 09:00

L’inquinamento atmosferico in Italia si è trasformato in una grave emergenza sanitaria, classificandosi come fattore scatenante di migliaia di morti premature e malattie, secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente (AEA). Quello della qualità dell’aria sembra essere, dunque, un problema da risolvere (o almeno arginare) al più presto: le strade da percorrere per raggiungere l’obiettivo non mancano.

Tra queste la più quotata e popolare nell’ultimo decennio sembra essere l’adozione di LEZ (Low Emission Zone), cioè zone a basse emissioni. Come specificato dalla campagna Clean Cities (coalizione europea di oltre 70 ONG, associazioni ambientaliste e movimenti, il cui obiettivo è raggiungere una mobilità urbana a zero emissioni entro il 2030), le zone a basse emissioni sono uno strumento di restrizione del traffico veicolare che vieta, salvo eccezioni, la circolazione a determinate categorie di veicoli inquinanti all’interno di un’area urbana chiaramente definita.

E se in tutta Europa sono già più di 300 (e diventeranno 500 entro il 2025) le città in movimento per garantire un miglioramento della qualità dell’aria con almeno una zona a basse emissioni, in Italia ancora non ci siamo. È quanto emerso dal report The development trends of low- and zero-emission zones in Europe di Clean Cities.

Nel nostro Paese le zone a basse emissioni sono ancora troppo poche e, lì dove esistono, sono sempre accompagnate da quell’intoppo che frena il funzionamento del meccanismo: mancano i controlli sistematici (tramite varchi elettronici), così come quelli regolati dalla polizia locale. Mancano, poi, comunicazioni chiare ed efficaci ai cittadini e soprattutto un sistema rafforzato che permetta una circolazione dei veicoli regolare durante i tempi di restrizione dettati dalle LEZ.

«Le zone a basse emissioni funzionano. È però essenziale che i sindaci comunichino efficacemente e per tempo, e che siano presenti misure di supporto alla transizione, quali ad

esempio schemi che diano un accesso gratuito ai servizi di trasporto pubblico e di sharing mobility a fronte della rottamazione dei veicoli inquinanti. Le automobili stanno soffocando le nostre città, è ora di ricominciare a respirare», ha dichiarato Claudio Magliulo, Responsabile italiano della campagna Clean Cities.

L’Italia è rimasta indietro e deve lavorare sul problema per accelerare e recuperare posizioni rispetto al resto dell’Europa: tra il 2030 e il 2035 quasi 30 città europee tra Paesi Bassi, Regno Unito, Francia e Paesi scandinavi trasformeranno le loro zone a basse emissioni (già in funzione) in zone a zero emissioni. L’Italia entro il 2030 dovrebbe raggiungere lo stesso obiettivo in 9 città selezionate dalla Commissione Europea per la missione 100 Climate-Neutral and Smart Cities (Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino), ma questa prospettiva appare oggi pura fantascienza.

Il Paese, sul tema, è in affanno: «Si tratta di una sfida complessa, ma tecnologicamente alla nostra portata. Servono lungimiranza, coraggio politico e attenzione al creare una transizionegiusta che non lasci indietro nessuno - ha commentato Magliulo - È evidente che se le città italiane fanno sul serio, non potranno raggiungere la neutralità climatica senza eliminare dalle proprie aree urbane i veicoli inquinanti nell’arco di questo decennio».

In soccorso delle città che intendono intraprendere la via della regolazione del traffico per il miglioramento della qualità dell’aria arriva proprio Clean Cities che, con la guida Zone a basse emissioni: la formula giusta propone un decalogo per le LEZ. L’obiettivo è fornire ogni strumento e consiglio per permettere all’Italia di scrollarsi di dosso la deludente etichetta di “peggiore in Europa” e, chissà, riscattarsi con un primato negli obiettivi del 2030. Per ora restiamo a guardare le brillante lezione delle altre europee.

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