Economia

Il carrello della spesa si svuota, come le nostre tasche

La causa è la “shrinkflation”, una tecnica di marketing che riduce la quantità di prodotto nelle confezioni, senza variarne il costo. A discapito dei consumatori
Credit: Shelby Cohron /unsplash
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
9 giugno 2022 Aggiornato alle 07:00

Se ti sembra che la solita confezione di caffè duri meno e che il flacone di detersivo che compri sempre finisca prima, non è solo un’impressione.

La chiamano shrinkflation. È un’inflazione invisibile, perché non balza all’occhio guardando il listino prezzi. Sugli scaffali dei supermercati le quantità nelle confezioni si riducono, ma i costi non diminuiscono: per il cliente, però, notare piccole variazioni nel quantitativo del prodotto non è facile.

Il termine deriva infatti dall’inglese “shrink” (rimpicciolire) e “inflation” (inflazione). Insomma, il carrello della spesa è più leggero, ma il costo non accenna ad abbassarsi.

Una tendenza che già da alcuni mesi sta accelerando in tutto il mondo e colpisce prodotti di ogni tipo, dalla carta igienica, allo yogurt e alla mozzarella. Le imprese per fronteggiare l’inflazione galoppante, l’aumento dei costi di imballaggio, manodopera, trasporto e ingredienti, adottano questa strategia.

Come riporta l’Associated Press, negli USA una confezione di Kleenex piccola contiene 60 fazzoletti, anziché 65 come qualche tempo fa. Nel Regno Unito, nelle scatole di Nescafe Azera Americano ci sono 10 grammi in meno di caffè. In India, i flaconi di sapone per piatti Vim contengono 135 grammi di prodotto invece che 155.

In Italia? Il conflitto in Ucraina ha esacerbato un fenomeno che si era sviluppato già a partire dal 2021. L’impennata dell’inflazione, ai massimi storici dal 1991, ha comportato un aumento dei prezzi della spesa: fino a 373 euro in più all’anno per ogni famiglia.

Il balzo dipende principalmente dal costo dell’energia, ma anche i prezzi delle materie prime alimentari sono lievitati nel giro di un mese: la frutta costa il 7,8% in più, la verdura fresca il 12%, la farina il 17,1%, e gli oli vegetali diversi da quello d’oliva arrivano al 63,5% in più.

Sul finire di maggio quindi l’Antitrust ha avviato una procedura per chiarire la natura delle pratiche commerciali adottate dai produttori a seguito di un esposto presentato dall’Unc lo scorso 8 aprile.

Nel documento vengono citate le confezioni di mozzarelle vendute a pezzi da 100 grammi, invece dei consueti 125, di buste di caffè contenti 225 grammi anziché 250. Ma anche, tavolette di cioccolato ridotte di 10 grammi e le bibite in bottiglia passate da 1,5 litri a 1,35.

A ben vedere, la shrinkflation è una tecnica di marketing legittima “purché siano rispettate alcune condizioni” come ha dichiarato Giovanni Calabrò, direttore generale alla Tutela del consumatore dell’Antitrust.

Le aziende possono infatti decidere di diminuire la quantità di un prodotto a parità di dimensioni della confezione, ma deve essere aggiunta un’avvertenza sull’etichetta frontale.

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