Diritti

Dopo Roe v. Wade: cosa succede adesso?

Gli Stati Uniti d’America stanno affrontando la più grossa crisi istituzionale e di valori dai tempi della guerra civile. E la cosa ci riguarda. Cosa accadrà adesso?
Credit: Darren Halstead/unsplash
Tempo di lettura 6 min lettura
29 giugno 2022 Aggiornato alle 06:30

La decisione ufficiale era attesa (ne avevo parlato qui all’epoca del primo annuncio, basato su un’indiscrezione) e non è una sorpresa, ma questo non attutisce il colpo. Il diritto di accesso all’aborto è stato cancellato da un giorno all’altro in sette Stati americani, a seguito della pubblicazione del parere che smantella la sentenza Roe v. Wade, quella che a partire dal 1973 tutelava il diritto delle donne americane di interrompere una gravidanza in maniera sicura e legale; altri sette seguiranno entro un mese.

Un diritto sempre ostacolato e reso da tempo inaccessibile lì dove le amministrazioni si erano fatte via via più conservatrici e radicali: da ieri, le leggi varate nei singoli Stati e pensate per diventare operative nel momento in cui la Corte Suprema avesse confermato la decisione (le cosiddettetrigger laws, pistole puntate alla testa delle donne e delle persone gestanti) sono entrate in vigore. Da un minuto all’altro, cliniche e ospedali hanno dovuto comunicare l’impossibilità di effettuare gli interventi.

Come si è arrivati fin qui?

Ne parleremo e ne riparleremo. Non finisce qui: questa è solo una parte del problema, una manifestazione di un piano più ampio per riportare gli Stati Uniti alla condizione pre-Guerra Civile, amplificare il potere degli uomini bianchi, annullare quello delle donne, delle minoranze, dei poveri.

Tutto questo è stato possibile grazie a un utile idiota, Donald Trump, che per sete di potere ed egomania si è prestato a fare da veicolo per ultraconservatori e suprematisti bianchi. Trump, un businessman fallito, una star dei reality a malapena in grado di mettere insieme due frasi, famoso solo per il fatto di essere famoso e di essere stato ricco ai tempi in cui aveva ancora i soldi del padre da spendere, si è candidato alla presidenza e ha vinto.

La religione ha creato gli Stati Uniti, la religione li sta distruggendo. I Padri Pellegrini, partiti dall’Olanda e dall’Inghilterra per sfuggire alla persecuzione, approdarono sul suolo di quella che adesso chiamiamo impropriamente “America” per costruire una comunità autonoma, un sogno realizzato più di 150 anni dopo e a prezzo dello sterminio dei nativi e della schiavitù degli africani rapiti per lavorare nelle piantagioni.

Il suprematismo bianco ha costruito gli Stati Uniti, il suprematismo bianco li sta distruggendo: l’utopia (o distopia?) di un Paese cristiano, “One nation under God”, non si può dissociare dalla bianchezza dei Padri Fondatori, unici a poter votare e disporre dei propri beni fino al 1920.

I soldi hanno creato gli Stati Uniti, i soldi li stanno distruggendo. Un presidente che rappresentava i peggiori cascami degli anni ’80, l’inseguimento della ricchezza e di un prestigio senz’anima, accusato in maniera credibile di aggressioni sessuali da diverse donne, sta sfasciando lo stesso paese che l’ha creato.

Le democrazie sono sempre sistemi imperfetti: preferibili alle monarchie assolute e alle dittature, ma soggette a oscillazioni nella loro capacità di rappresentare le persone su cui governano.

L’America, lo sappiamo da tempo, è un Paese i cui i rappresentanti sono eletti da una minoranza di persone secondo un sistema che assegna pesi uguali a Stati disuguali: due seggi al Senato per ogni Stato, che sia il Wyoming con le sue vaste distese di terra disabitata o la California, che da sola conta oltre 39 milioni di abitanti. Elezioni decise collegio per collegio, con la possibilità per le autorità locali di ridisegnarne i confini per aggiudicarsi le città e i centri abitati più favorevoli al loro candidato (si chiama “gerrymandering”).

Un diritto di accesso al voto fragilissimo, soggetto a burocrazia e restrizioni e a leggi pensate per privare le minoranze della possibilità di esprimere dei candidati. Incarichi a vita assegnati a persone che possono fare la differenza fra la vita e la morte delle persone, come nel caso dell’aborto. Gli Stati Uniti non sono più una democrazia, o forse non lo sono mai stati: sono un’autofagia, un Paese che divora sé stesso.

Cosa accadrà adesso?

Tutto questo è il prodromo dell’attacco ad altri diritti di base: quello alla contraccezione, al matrimonio egalitario, alla privacy sessuale. Clarence Thomas – unico giudice nero della Corte Suprema ed evidentemente uno che pensa che il suprematismo bianco lo risparmierà – ha già annunciato che la Corte si esprimerà anche sulle sentenze che li regolano.

E intanto, l’annuncio dello smantellamento di Roe v. Wade sta oscurando il processo in corso per l’attacco a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, che sta facendo emergere delle responsabilità ben precise e chiaramente espresse da parte non solo di Trump, ma anche di diversi membri del Congresso, che si sarebbero prestati ad attuare il piano di assalto, nonché di Ginni Thomas, moglie del giudice.

Non sono due problemi separati, sono due facce dello stesso problema: l’eversione e l’attacco all’autonomia riproduttiva delle persone (le donne sono persone, incredibile doverlo ricordare) sono punti diversi dello stesso ordine del giorno.

Il piano, ormai è evidente, è far diventare l’America una teocrazia cristiana: dopo la caduta di Roe v Wade è arrivata anche una seconda sentenza, che dà ragione a Joseph Kennedy, allenatore di football di una scuola di Bremerton, nello Stato di Washington. Kennedy era stato sospeso dopo aver ignorato ripetutamente le richieste della dirigenza scolastica di non costringere gli studenti a pregare prima delle partite.

Con la sentenza della Corte Suprema, ora qualsiasi insegnante, coach o dirigente scolastico può costringere gli studenti a pregare insieme: chissà se la norma si applicherà con disinvoltura anche agli studenti musulmani, ebrei, o a chi pratica il paganesimo.

Perché riguarda anche noi

Tutto questo ci riguarda. Le destre, pur nelle loro divisioni interne, hanno dimostrato nel tempo una capacità notevole di convergere su pochi punti comuni, perché il piano è lo stesso per tutte: il controllo, il potere assoluto, la soppressione dell’autonomia di pensiero e di azione.

Gli omologhi dei fondamentalisti eversori americani siedono già nel nostro Parlamento e nel nostro Senato, ci rappresentano in Italia e in Europa. Parlano di “cultura della vita”, gioiscono – con maggiore o minore sfacciataggine – per la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti.

La differenza è che da noi il voto popolare esiste, i voti si contano uno per uno: bisogna andare a votare e bisogna votare meglio. Alle amministrative, alle politiche, ogni volta che c’è da decidere chi ci rappresenta bisogna andare a votare. Votare, e chiedere a chi vuole il voto di togliere le mani dai corpi, di liberarli dalla discrezionalità del “comune sentire”, dalla retorica che benedice la dittatura della maggioranza. Specialmente se questa maggioranza non esiste.

Non abbiamo mai smesso di lottare. Mai. Nemmeno per un momento. Ma la lotta non è solo piazza, non è solo protesta, non è solo parola. Non è solo creazione di spazi di espressione per chi altrimenti è costretto all’invisibilità. È anche scelta, la scelta di ogni persona, in ogni momento. Scegliamo di tornare a occuparci di politica, di esercitare il diritto di critica, di non avere paura di essere veementi, di alzare la voce, di alzare il volume.

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