Diritti

Sul corpo delle donne

Il sistema di accoglienza dei profughi ucraini in Polonia funziona. Ma nel Paese le restrizioni antiabortiste colpiscono anche chi ha subìto stupri di guerra. Un dramma nel dramma, che ci ricorda altre violazioni sul corpo delle donne in tutto il mondo
Proteste in Polonia contro la legge sull'aborto.
Proteste in Polonia contro la legge sull'aborto.
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
19 aprile 2022 Aggiornato alle 06:30

Dei 2 milioni di persone ucraine rifugiate in Polonia a seguito dell’invasione russa, il 90% è composto da donne e bambini. Stando ai dati e alle testimonianze, il sistema polacco dell’accoglienza si sta rivelando in grado di sostenere egregiamente i continui flussi in arrivo. Ma non tutto è oro quello che luccica. Ricordiamo, infatti, che le donne polacche, a causa delle restrizioni antiabortiste, sono ormai costrette a ricorrere all’aborto illegale o a recarsi in altri Paesi per poter portare avanti un’interruzione volontaria di gravidanza in ambienti sicuri. E sfortunatamente, questa legge si applica anche alle donne provenienti dall’Ucraina, che sfuggono alle drammatiche conseguenze dell’invasione ed, in molti casi, alla violazione dei propri corpi che può dare luogo a gravidanze indesiderate e particolarmente dolorose da portare avanti. Sono donne alle quali, nel proprio Paese, era consentito di abortire fino alla dodicesima settimana. Cosa accadrà loro adesso? Saranno costrette a portare avanti queste assurde gravidanze?

Ne parliamo spesso, ma mai abbastanza. Nel mondo, secondo la World Health Organization, il 45% circa degli aborti è illegale. Il 97% di essi viene praticato in un Paese emergente E rappresenta una causa ormai tristemente nota di mortalità e infermità delle donne. Oltretutto, nei Paesi in cui l’interruzione volontaria di gravidanza è vietata, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, il numero degli aborti non si riduce. Ma ad aumentare è la mortalità delle donne che incorrono nelle conseguenze talora mortali degli aborti illegali (il cui numero è naturalmente più elevato proprio in quei paesi che hanno applicato rigide normative antiabortiste).

Tutto sempre sul corpo delle donne. E mai che le donne possano decidervi in autonomia. Mestruazioni, assorbenti, riproduzione.

Del resto, secondo un articolo pubblicato sul British Journal of Clinical Pharmacology nel 2018, sebbene rappresentino almeno la metà del mercato potenziale, solo il 22% dei soggetti su cui vengono sperimentati i nuovi farmaci sono donne.

Un altro esempio? Secondo le Nazioni Unite, una donna in età fertile su 10 in tutto il mondo soffre a causa dell’accesso insufficiente a prodotti per l’igiene mestruale. Temi che vengono ignorati dal discorso economico e istituzionale per essere relegati all’ambito intimo e personale di ciascuna donna. Lo stigma che accompagna questi argomenti, che imbarazzano i policy makers, ha in realtà ripercussioni sul benessere quotidiano di miliardi di donne, determinando anche quella che si chiama povertà mestruale. Si stima che 500 milioni di persone al mondo non siano in grado di accedere ai prodotti mestruali. E non solo nei Paesi emergenti: Reuters ha pubblicato di recente una ricerca che rivela come, negli Stati Uniti, circa i due terzi delle donne a basso reddito non abbiano potuto acquistare prodotti igienici lo scorso anno e come metà di esse si sia trovata spesso nella condizione di dover scegliere tra l’acquistare assorbenti o cibo per sé e per la propria famiglia.

Mentre nel nostro Paese, è notizie recente che in Piemonte la Regione abbia sospeso la somministrazione della pillola Ru486 al di fuori delle strutture ospedaliere, dando invece supporto alle associazioni pro Life. Quantifichiamolo: 400.000 euro per promuovere progetti a tutela della maternità. Ed è notizia di qualche giorno fa che la Commissione Finanze del Senato abbia dato parere non ostativo al decreto legislativo che prevede un’esenzione totale dell’IVA e delle accise per quanti forniscono armi e servizi militari a favore di un Paese membro dell’UE che sia protagonista di uno “sforzo di difesa”. E intanto, l’IVA sugli assorbenti rimane al 10%.

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