Culture

Il mio posto è qui: un film sulla libertà nell’Italia del secondo dopoguerra

Daniela Poggio e Cristiano Bortone mettono in scena uno spaccato autentico, delicato ed emozionale dell’Italia meridionale della metà degli anni ’40. La Svolta è stata all’anteprima del film nelle sale dal 9 maggio e ha carpito qualche segreto ai registi
Tempo di lettura 6 min lettura
5 maggio 2024 Aggiornato alle 20:00

Tratto dall’omonimo romanzo, il film Il mio posto è qui, in uscita nelle sale cinematografiche il 9 maggio e diretto da Cristiano Bortone e Daniela Poggio, autrice del libro, è un’opera che cattura l’anima di un’epoca tormentata, offrendo al pubblico uno sguardo intimo sulle sfide dell’Italia del secondo dopoguerra.

Ambientato nella Calabria degli anni Quaranta, il film segue le vicende di Marta - interpretata dalla giovanissima Ludovica Martino - e Michele, una coppia giovane e innamorata che si trova ad affrontare le dure prove della guerra: lui parte per il fronte, senza fare più ritorno; lei si ritrova incinta e sola in un ambiente tradizionalista e conservatore, dove la gravidanza fuori dal matrimonio la porta a subire giudizi e pressioni sociali.

È qui che il destino di Marta si intreccia con quello di Lorenzo (interpretato da Marco Leonardi), l’assistente del parroco, un uomo dai gusti raffinati e dall’animo generoso, ma emarginato dalla società a causa della sua omosessualità, ancora fortemente stigmatizzata.

A rendere Il mio posto è qui un film straordinario è la delicata narrazione di una relazione inusuale, che sfida i confini imposti dalla società, con i due protagonisti che trovano conforto e comprensione l’uno nell’altro, creando un legame che va oltre le convenzioni e le etichette. Impeccabili le interpretazioni dell’attrice e dell’attore protagonisti: Ludovica Martino offre una performance commovente e autentica, trasmettendo al pubblico la lotta interiore del suo personaggio per trovare il proprio posto nel mondo; Marco Leonardi dona invece al ruolo che interpreta una profondità e una sensibilità che lo rendono indimenticabile, incarnando la ricerca della libertà e dell’autenticità in un’epoca di oppressione e conformismo.

Il merito dell’alta qualità della pellicola, però, è anche della regia: Bortone e Poggio catturano magistralmente l’essenza della Calabria del periodo del secondo conflitto mondiale e del dopoguerra, con una fotografia che trasmette l’asprezza e la bellezza di un paesaggio ancora segnato dalla guerra e dalla povertà. Il tutto arricchito dall’uso del dialetto calabrese dell’epoca, che contribuisce a rendere il film ancora più autentico, immergendo lo spettatore nell’atmosfera degli anni Quaranta.

«Il ’46 l’ho scelto perché mi sembrava un momento simbolico per l’Italia: era appena finita la Seconda guerra mondiale e c’erano in atto tutta una serie di rivoluzioni sociali che portavano grandi speranze, anche se ci sono voluti ancora molti anni prima che cambiasse davvero qualcosa, soprattutto per quanto riguarda il ruolo delle donne e l’integrazione nella società della comunità omosessuale», racconta Daniela Poggio.

Ma Il mio posto è qui non è solo un dramma storico: è anche una profonda riflessione sulla società italiana del dopoguerra, un momento di transizione e cambiamento in cui le vecchie tradizioni si scontrano con nuove idee di emancipazione e libertà. Nel complesso il film cattura con maestria l’atmosfera di un’epoca in cui le donne stavano iniziando a rivendicare i propri diritti e a sognare un futuro al di fuori dei confini imposti dalla società patriarcale.

Attraverso la storia di Marta e Lorenzo, ci invita a riflettere sulla natura della libertà e sull’importanza di essere fedeli a se stessi, nonostante le pressioni sociali: un messaggio universale che ancora oggi, in un mondo in cui omofobia e sessismo continuano a essere tristemente presenti, ha bisogno di essere sentito e diffuso.

Il 22 aprile, presso La Casa del Cinema di Roma, durante l’anteprima del film, i registi hanno scambiato 4 chiacchiere con i giornalisti per raccontare difficoltà e retroscena delle riprese, e La Svolta era presente.

Tra le sfide affrontate da Poggio e Bortone c’è stata la scena del travestimento del personaggio di Marta in un uomo che «poteva essere una scena un po’ complicata perché poteva risultare ridicola, parruccosa. E invece nonostante questa paura, anzi, forse proprio grazie a questa paura, siamo stati sempre all’erta e sull’attenti e credo che il risultato sia molto poetico».

Per ogni regista la trasposizione del romanzo sul grande schermo è sempre impegnativa. Come spiega Bortone, ogni adattamento vive di restrizioni e sacrifici, e Il mio posto è qui non ne è stato esente. «Il pubblico vede il film a valle, ma il processo è complicato e pieno di sfide. Ogni film ha le sue e in questo caso la più grande era riuscire a trasmettere il senso del romanzo, che riporta uno sguardo molto femminile e una serie di sensibilità che ci auguriamo arrivino a chi guarda».

E, sempre parlando di trasposizione, i registi hanno raccontato che hanno lavorato duramente per rappresentare il personaggio di Lorenzo senza cadere nei classici stereotipi, dando rotondità e autenticità al protagonista e rispettando l’ambientazione storica e sociale del film. Analogamente, la descrizione dell’Italia meridionale degli ani ’40 è stata una bella prova: i registi, infatti, anche in questo caso hanno voluto evitare la classica rappresentazione romantica e idealizzata, mostrando il volto di luoghi devastati dalla guerra e dalla povertà, con tutte le sue contraddizioni e difficoltà quotidiane vissute dalla popolazione.

Quella de Il mio posto è qui è dunque una storia di libertà e riscatto, una libertà acquisita anche grazie all’accettazione dell’altro: se Marta non avesse superato i suoi pregiudizi, non avrebbe costruito quel rapporto intimo e speciale con Lorenzo. E senza chissà se avrebbe trovato il modo e il coraggio di prendere le sue decisioni.

«Il tema della diversità è fondamentale, anche se lo definirei più un inno all’identità: diversità da chi? Ha già delle categorie. Invece una cosa che a me sta a cuore - spiega Bortone - è il fatto che siamo tutti diversi, quindi la differenza tra noi è una ricchezza».

Secondo la regista poi «c’è ancora bisogno di parlare di alcune tematiche come emancipazione femminile perché nonostante tutte le battaglie sociali e l’acquisizione di alcuni diritti non c’è ancora stata del tutto la capacità di ripensare in modo sano il rapporto uomo-donna. Questi temi devono essere affrontate da film che siano in grado di arrivare al pubblico. Il nostro non è un film sperimentale, chiuso nel racconto, o depressivo, ma una pellicola narrativa e ispirazionale. Per portare al grande pubblico queste tematiche è importante appassionare ed emozionare».

Leggi anche
Scena tratta dal film "Gloria!" di Margherita Vicario
Recensioni
di Virginia Maciel da Rocha 3 min lettura
Una scena tratta dal film "Dieci minuti"
Recensioni
di Eleonora Damiani 3 min lettura