Culture

“Gloria!”, l’inno alla sorellanza di Margherita Vicario

Il lungometraggio d’esordio della cantautrice, attrice e regista romana racconta la storia di quattro ragazze unite dal potere della musica. E di una ribellione tutta al femminile
Scena tratta dal film "Gloria!" di Margherita Vicario
Scena tratta dal film "Gloria!" di Margherita Vicario
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11 aprile 2024 Aggiornato alle 17:00

Con Paola Cortellesi si è a lungo parlato (e ancora la discussione è aperta, complici anche le numerose candidature ai David di Donatello che C’è ancora domani ha ricevuto) della situazione delle registe nel panorama cinematografico italiano. Il cinema, come ha dimostrato anche il caso de La Chimera di Alice Rohrwacher, è un settore in crisi: produrre un film, realizzarlo e, infine, distribuirlo richiede costi molto elevati e non sempre a una buona distribuzione cinematografica corrisponde la risposta positiva del pubblico in sala, che spesso dipende da molti fattori e da molte variabili.

Forse in risposta a questa crisi, diffusa e ormai capillare, emergono all’interno di un settore, comunque, dal futuro incerto, storie ottimiste e cariche di speranza per l’avvenire: Gloria! è una di queste. Margherita Vicario ha deciso di lavorare dietro alla macchina da presa per raccontare le vicende di un gruppo di «orfanelle», accolte dall’istituto musicale di Sant’Ignazio nei pressi della Venezia repubblicana di fine ‘700.

Il film in costume segue la quotidianità di Lucia (Carlotta Gamba), Bettina (Veronica Lucchesi) e Prudenza (Sara Mafodda), ragazze orfane e membri fissi dell’orchestra dell’istituto. A questo trio si aggiunge Teresa (Galatea Bellugi), giovane donna appassionata di musica che si trova a lavorare nell’orfanotrofio nel ruolo di domestica, sempre presa di mira e considerata di rango inferiore sia dalle ragazze ospitate che dai responsabili dell’istituto religioso.

Nessuno, inizialmente, chiama Teresa per nome: per tutti e tutte è semplicemente «la muta», una presenza silenziosa e remissiva, pronta a eseguire gli ordini che le vengono imposti senza mai replicare. Insomma, l’esempio di mansuetudine e l’immagine di donna che la chiesa reputa ideale. Quando alle ragazze si presenta l’occasione di suonare alla presenza di papa Pio VII, in visita a Venezia, subito l’orfanotrofio è in preda al panico: in pochissimo tempo c’è da comporre un concerto intero, fare le prove e risistemare tutto l’istituto per fare bella figura sul pontefice.

Mentre le prove dell’orchestra avvengono di giorno, sotto la guida del severo maestro Perlina (Paolo Rossi), di notte le 4 ragazze scoprono un pianoforte nascosto in una delle stanze della struttura che le ospita e iniziano a ritrovarsi per prove alternative e clandestine, in cui vengono fuori composizioni non ortodosse al canone musicale dell’epoca.

Gli ambienti chiusi, bui e notturni dove le ragazze si incontrano di nascosto per suonare la loro musica (si tratta sempre di uno stile musicale contemporaneo, che niente ha a che vedere con la moda di fine 1700) sono funzionali all’esplosione di vitalità musicale a cui si assiste nel finale, luminoso e che prospetta un futuro brillante per tutte le protagoniste. Dopo aver elaborato un piano per prendere possesso del grande concerto alla presenza del papa, le protagoniste possono finalmente suonare la loro musica e dimostrare che non serve una guida maschile per dare un contributo a un mondo in costante cambiamento.

Le 4 ragazze, pur provenendo da contesti sociali e situazioni familiari diverse tra loro, quando arrivano a raccontare le loro storie si accorgono che il filo rosso che collega tutte le loro esperienze (sia dentro che fuori il collegio) è sempre la prevaricazione maschile sulle loro vite. Teresa, che ha perso la sua voce dopo che la sua famiglia è stata assassinata dalle truppe napoleoniche, ritrova la forza di parlare (e, in un secondo momento, di cantare) insieme alle altre ragazze, dimostrando che il primo passo per la rivendicazione dei diritti sociali e per arrivare a rendere il mondo un luogo più giusto per tutte è operare per il bene della collettività.

Attraverso la musica, le allieve dell’istituto possono esprimere tutto quello che sono state costrette a tenere dentro per molto, troppo tempo e lo dimostra bene la poesia “musicata” di Bettina, tratta dal brano Questo corpo de La Rappresentante di Lista: «Dalla mia testa parte / alla mia testa ritorna / una canzone che fa esplodere i denti / e mentre rido dimentico di aver pianto / e la mia lingua si muove da sola / e canto».

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