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Povere creature! Un film femminista. Oppure no?

La pellicola candidata a 11 premi Oscar racconta la storia di Bella Baxter, che impara a conoscere il mondo attraverso la sessualità ma non solo, all’insegna della libertà
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Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
11 febbraio 2024 Aggiornato alle 20:00

C’è chi lo ha definito un film femminista, chi un’aspra critica alle convenzioni sociali e un inno alla libertà individuale, chi la metafora dissacrante e disillusa del sogno socialista. Certo è che sta facendo parlare di sé e probabilmente, continuerà a farlo.

Dopo aver collezionato il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia, due Golden Globes e undici nomination agli Oscar - tra cui Miglior film, Miglior Regista e Miglior Attrice Protagonista - Povere Creature! continua a primeggiare anche nel box office italiano.

La trama in breve? Una giovane donna, con il cervello di una bambina, libera da qualsiasi forma di condizionamento esterno e ipocrisia, viaggia alla scoperta del mondo.

L’ultima pellicola del regista greco Lanthimos è un adattamento del geniale romanzo dello scozzese Alasdair Gray pubblicato nel 1992, che riprende i temi e l’ambientazione vittoriana del Frankestein di Mary Shelly. Con un essenziale rovesciamento però: lo scienziato non ripudia la propria creatura - ricordi il celebre romanzo horror? - ma vi si affeziona profondamente, come un tenero padre a una figlia.

La creatura, Bella Baxter, a cui da corpo e voce una magnetica e irresistibile Emma Stone, è l’esito di un esperimento sul cadavere di una giovane suicida, che al momento della morte era incinta. Il medico e scienziato Godwin Baxter - che Bella chiama semplicemente, e non a caso, ‘God’ - interpretato da un ipnotico William Defoe, ha il viso deformato dagli esperimenti subiti, a sua volta, dal padre. I suoi tratti scomposti e scardinati rievocano i quadri inquietanti di Fransis Bacon, che dipinge una realtà post-atomica alla deriva, in cui scienza e tecnologia ormai rappresentano forze fuori controllo.

Attorno ai personaggi si dipana un mondo bizzarro e talvolta grottesco, che seppur ispirato all’epoca vittoriana, con echi liberty, è punteggiato qua e là da elementi steam punk e fantascientifici, come le carrozze a vapore e i tram sospesi sulle città. La stessa casa di Baxter è popolata da strani ibridi – metà uccelli e metà mammiferi - frutto di altri esperimenti condotti dallo scienziato pazzo.

Il comportamento disinibito di Bella finisce per attrarre il dissoluto Duncan Wedderburn (un esilarante Mark Ruffalo). L’avvocato la inizia ai piaceri del sesso e la conduce con sé in una sorta di Grand Tour - prima a Lisbona, poi ad Alessandria, infine a Parigi - come quelli intrapresi dai giovani aristocratici nell’Europa continentale e nel Mediterraneo tra il ‘700 e l’800 per arricchire e perfezionare la propria formazione.

Topos letterari e narrativi si mescolano a elementi visivi innovativi e dirompenti, in un magma di colori elettrici, costumi strabordanti, inquadrature grandangolari e musiche spesso stridenti e dissonanti. Il filo che intreccia e tiene unito il tutto è un viaggio di formazione, che riprende lo schema archetipico della fiaba e del mito.

Più che di Frankestein, soppresso dal suo stesso creatore perché crudele e incontrollabile, l’arco narrativo della protagonista di Poor Things ricorda quello di Pinocchio di Collodi, che come scrive Emilio Garroni in Pinocchio uno e bino, “quando nasce è già nato”. Anche Bella Baxter prende vita una seconda volta, resuscita in un certo senso, ma con una nuova coscienza e un nuovo spirito. Entrambi compiono le proprie scelte, disobbediscono ed esperiscono il mondo, ma la vera differenza sta nell’esito di questa sperimentazione: Bella, infatti, vince sempre, le sue decisioni si rivelano le migliori e la traggono puntualmente in salvo. Cosa che non si può dire, invece, per il povero burattino nostrano.

Bella si svincola da ogni uomo che tenta di incatenarla, non resta confinata nella casa di God e neppure nella stanza d’albergo, come vorrebbe Duncun. Allo stesso modo, non rimane ingabbiata in conversazioni falsamente appropriate a tavola. Vuole fare esperienza, scoprire la bellezza della vita, imparare a tollerarne il dolore. A spingerla nella sua ricerca, almeno in una prima fase, è un’energia ancestrale: la pulsione e il desiderio sessuale, il corpo che la rende curiosa e ostinata nel rivendicare il proprio diritto a scoprire se stessa.

Centrali i temi dell’autodeterminazione femminile, della scoperta personale - Bella impara a parlare e a muoversi, proprio come un bambino - e della trasformazione da semplice oggetto, assemblato nella sala operatoria di God, a soggetto agente. È vero, viene spesso assecondata dagli uomini per la sua bellezza e impara ben presto a sfruttare il suo fascino per manipolarli, il che a un primo sguardo potrebbe sembrare un controsenso nell’ottica di una narrazione femminista. Ma, è altrettanto vero che la protagonista si colloca in un mondo dominato dalla volontà degli uomini e, almeno all’inizio, sfrutta i pochi strumenti che ha a disposizione.

L’universo onirico e immaginifico di Povere creature! potrebbe, sotto certi aspetti, ricordare quello coloratissimo e glamour del film Barbie, ma Bella è decisamente diversa dalla bambola Mattel, proprio perché conosce il mondo attraverso la sessualità, totalmente assente invece nella parabola di autoaffermazione femminile di Barbie. È, piuttosto, un’eroina complessa, attraversata da ombre e ambiguità, che decide infine di seguire le orme del suo creatore, conducendo anche lei esperimenti chirurgici al limite del morale.

Circoscrivere la scoperta di Bella esclusivamente alla sfera sessuale sarebbe però un errore. Se la sua emancipazione economica avviene attraverso la prostituzione, quella dello spirito si compie non solo tramite la scoperta dei sensi e del corpo, ma anche grazie a incontri fortuiti con alcuni personaggi, letture filosofiche e studio. Su questo punto il film indugia, ma non troppo.

Etichettare l’intera pellicola come un manifesto femminista sarebbe però riduttivo. Nel film di Lanthimos si compongono e stratificano significati e chiavi di lettura innumerevoli: le disuguaglianze sociali, il privilegio, i limiti morali della scienza, il tentativo di superare la morte. E le povere creature a cui si riferisce il titolo del lungometraggio, in definitiva, siamo proprio noi.

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