Culture

Corea del Sud: perché Barbie è stato un flop?

Secondo critici e attivisti, il motivo per cui la pellicola di Greta Gerwig non è riuscita a sfondare è da ricercare nella cultura maschilista e anti femminista del Paese
Margot Robbie posa per i media prima di una conferenza stampa per il film "Barbie" a Seul, Corea del Sud
Margot Robbie posa per i media prima di una conferenza stampa per il film "Barbie" a Seul, Corea del Sud Credit: Lee Jin-Man/AP
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16 ottobre 2023 Aggiornato alle 18:00

Sin dal suo lancio, lo scorso luglio, il film Barbie non ha fatto fatica a trascinare milioni di spettatori al cinema: con il suo incasso da 1 miliardo e mezzo di dollari, la pellicola non ha solo aperto le porte alla sua regista, Greta Gerwig, all’Olimpo dei film girati da donne (prima regista ad aver diretto indipendentemente un film che vale miliardi), ma ha anche generato discussioni a livello mondiale.

Divertente ma non troppo, irriverente ma capace di accendere riflessioni e scambi di idee: osservare (forse) il giocattolo più conosciuto al mondo farsi reale e porsi domande sul senso della vita mentre è alle prese con la sua prima crisi esistenziale ha conquistato spettatori da tutto il mondo. Un trend che, però, conosce eccezioni.

Se l’11% delle persone che ha visto Barbie in sala negli Stati Uniti ha dichiarato di non andare al cinema da prima della pandemia del 2020, in altre regioni del globo l’accoglienza per il film di Gerwig è stata a dir poco tiepida. La Corea del Sud, per esempio, si è dimostrata in questo senso poco impressionabile; nelle prime 4-6 settimane di proiezione, il film ha incassato circa 270.000 dollari.

Warner Bros, che si occupa della distribuzione del film anche in Asia, avrebbe previsto il disinteresse sudcoreano abbassando le proprie aspettative (la Barbie giocattolo non ha mai avuto una grande diffusione nella regione); eppure, secondo critici, critiche, attivisti e attiviste, le ragioni della clamorosa debacle sono riconducibili a una cultura profondamente maschilista e anti-femminista.

Con i suoi quasi 52 milioni di abitanti, secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) la Corea del Sud è tra i Paesi in cui c’è maggiore disparità tra donne e uomini in termini di partecipazione economica (18,1%); fanno peggio l’Italia (18,2%), il Cile (20,6%), Costa Rica (23,8%) la Colombia (24,9%) e il Messico (32,4%). Il divario resiste e sbaraglia, negativamente, la concorrenza quando si parla di retribuzione: la Corea del Sud ha il gap salariale più aspro tra i paesi Ocse, 31,1% nel 2021. Una struttura economica che non evolve, sintomo di problematiche dalle connotazioni culturali, in un Paese in cui gli abusi sono in teoria condannati ma in realtà normalizzati: 4 uomini su 5 in Corea del Sud ammettono di avere avuto condotte violente ai danni delle proprie partner.

Una violenza sistemica, ignorata e sminuita anche dalle istituzioni. Yoon Suk Yeol, presidente in carica sudcoreano, durante la campagna elettorale del 2022 ha espressamente negato che il Paese abbia un problema di discriminazione di genere, addossando intanto al femminismo la responsabilità dell’annosa questione demografica in Corea nel Sud.

E mentre il Governo coreano riflette sull’eliminazione del ministero dell’ uguaglianza di genere e della famiglia, negli ultimi anni le cittadine sono scese in piazza per far sentire la propria voce. A segnare il punto di non ritorno, un femminicidio avvenuto nel 2016, che coinvolse una giovane coreana a Seoul; in un Paese con il tasso di omicidi più basso al mondo (circa 0,8 omicidi ogni 100.000 abitanti) il fatto sconvolse per l’efferatezza del crimine e per le dichiarazioni dell’assassino, che agli inquirenti dichiarò di aver ucciso perché «stanco dell’essere stato a lungo ignorato dalle donne».

Il femminicidio diede vita a un acceso dibattito sulla questione di genere e la spinta al movimento #MeToo coreano, a cui diedero il proprio contributo artiste e scrittrici. Tra tutte Cho Nam-Joo, sceneggiatrice e autrice, che nel 2018 pubblicò il romanzo Kim Ji-Young, nata nel 1982 (in Italia edito La Tartaruga) in cui racconta la vita di una donna coreana qualsiasi, schiacciata tra aspettative sociali, violenze e discriminazioni. «Ho voluto scrivere di problematiche di cui le donne coreane non potevano parlare prima perché ritenute scontate. Volevo che facessero parte del dibattito pubblico» ha dichiarato la scrittrice in un’intervista al New York Times.

In un Paese in cui ci si aspetta che le donne, dopo il matrimonio, lascino il proprio lavoro per dedicarsi completamente alla prole la storia dello sviluppo e della diffusione del femminismo non può che essere lunga e arzigogolata, con derive anche radicali. Tra le frange più estreme il movimento 4B (o movimento dei 4 No), che prende spunto da 4 parole che in coreano contengono il prefisso “bi”, che si traduce “no”: no al matrimonio eterosessuale; no alla prole; no alle relazioni romantiche eterosessuali; no al sesso eterosessuale. Un completo rifiuto degli uomini per ridurre la possibilità, secondo il movimento, che si verifichino abusi e violenze contro le donne.

Se la violenza di genere è ancora difficile da scardinare in Corea del Sud è anche per la resistenza, che sconfina spesso nel disprezzo totale, alle tematiche femministe. «Un film che pone al centro le donne e che ricorre a un humour femminista è considerato un tabù. In Corea del Sud si ha paura di essere etichettati come femminist3» ha affermato Shim Haein, attivista sudcoreana.

Eppure, per uno sguardo più allenato a riconoscere determinati meccanismi, il film di Gerwig sembra ben lontano dall’essere un manifesto femminista. Apprezzabile ma non d’avanguardia, non pionieristico nei temi proposti. Ma tanto basta in Corea del Sud (e non solo) a minacciare lo status quo, a creare crisi interiori e sociali.

Ancora una volta l’arte e il cinema fanno il proprio lavoro innescando dubbi e istruendo sul mondo, così come Barbie, in questo caso, massifica le nozioni base del femminismo pensate per chi ha bisogno di apprenderle. Ed è così che in Cina, per esempio, il film ha attirato grande attenzione su Wiebo (il Twitter cinese): gli utenti lo hanno definito “una boccata d’aria fresca”; il Vietnam, invece, ne vieta la distribuzione.

Una cosa è certa: non sarà scritto da Judith Butler (filosofa e femminista americana, ndr) ma Barbie fa ciò che deve e che tutti e tutte speriamo. Anche quando affonda.

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