Diritti

Salute mentale: sei persone su dieci non ne parlano

A fare più fatica sono soprattutto gli uomini e la fascia d’età 45-54 anni, rivela l’indagine condotta dalla società di ricerche BVA Doxa e dalla piattaforma Serenis
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
17 aprile 2024 Aggiornato alle 13:00

Si fa ancora fatica a parlare di benessere mentale dentro le mura di casa. Secondo la nuova indagine condotta dalla società di ricerche BVA Doxa e da Serenis, piattaforma digitale per il benessere mentale, 6 persone su 10 non parlano di salute mentale nemmeno ad amici e familiari. E questo vale soprattutto per gli uomini. Quali sono le ragioni?

«Nella nostra società, nonostante ci siano stati nel tempo grandi cambiamenti che hanno portato all’evoluzione di una maggiore intelligenza emotiva, l’uomo, a volte, è ancora legato a una tematica di virilità tossica, la quale porta a nascondere la fragilità e le emozioni per paura di essere giudicato “meno uomo” agli occhi della società e soprattutto della propria famiglia - spiega la psicoterapeuta Martina Migliore e direttrice formazione e sviluppo di Serenis - Molti di loro vengono ancora cresciuti nel mito del problem solving a ogni costo e della pragmatica forzata, per cui le riflessioni sui propri stati emotivi e la sofferenza non sono percepite “utili”, ma solo fastidiose o segnali di inadeguatezza».

La prima ricerca sulla salute mentale targata BVA Doxa e Serenis, pubblicata a ottobre 2023 in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, aveva messo in evidenza che il 63% di chi rifiuta la psicoterapia è uomo, mentre le donne e le nuove generazioni tendono a percepire meno lo stigma. Tra i 1.000 rispondenti di età compresa tra i 18 e i 54 anni coinvolti nell’indagine, alla domanda “Se ne avessi bisogno in futuro, potresti considerare di affidarti a un servizio di supporto psicologico?”, 300 persone hanno risposto di no e 189 di loro erano uomini. A distanza di 6 mesi, per fotografare in modo costante e aggiornato lo stato della salute mentale in Italia, una nuova ricerca è stata svolta a febbraio 2024 e ha preso in esame oltre 878 rispondenti di età compresa tra i 18 e i 54 anni, uomini e donne, distribuiti su tutto il territorio nazionale.

Nonostante ci sia un’attenzione positiva e stabile verso la psicoterapia, alla domanda “Ti capita mai di parlare con qualcuno di benessere mentale?” il 57% risponde di non farlo mai o quasi mai. Gli uomini si confermano essere i più restii ad affrontare l’argomento, insieme alla fascia di popolazione dai 45 ai 54 anni (nati tra gli anni ‘60 e il 1980, la Gen X). Solo il 21% degli intervistati si apre con i propri familiari su questi temi. Sono le donne e i giovani della Gen Z a mostrare maggior apertura nei confronti del benessere mentale e a parlare più spesso di questi temi.

Secondo la ricerca, solo il 15% degli uomini si confida con gli amici. Secondo quanto emerso, in una coppia è quasi sempre la donna a essere più incline a parlare di benessere mentale (35%), mentre gli uomini lo fanno solo nel 26% dei casi. Eppure, nonostante si aprano nel 49% dei casi con una persona con cui sono in confidenza, le donne ci riescono meno con i propri familiari (28%). «Diamo troppo spesso per scontato che la famiglia sia il “luogo sicuro”, sia affettivamente e sia relazionalmente, ma in moltissimi casi non è così - spiega la psicoterapeuta Migliore - In famiglia si possono perpetuare nel tempo antichi conflitti mai risolti, percezioni di esclusione che alimentano la sensazione di poter essere fortemente giudicati o peggio esclusi nel caso in cui non si rispetti uno standard ipotizzato. La poca comunicazione in questo caso alimenta il circolo vizioso perché, in assenza di chiarimento, gli standard vengono creati autonomamente e non c’è mai la possibilità di correggerli».

La Generazione Z, che comprende chi è nato tra la fine degli anni ‘90 e i primi anni del 2010, «è sempre più richiedente, giustamente, di nuovi standard emotivi che rispettino l’individuo nella sua interezza, comprese le sue difficoltà, e le donne per cultura precedente sono sempre più disponibili a questo tipo di apertura». La vera sfida, secondo Migliore, «sarà quella di smettere di fare una distinzione tra sessi, in termini di fragilità, emozioni e sofferenza, iniziando a considerare davvero una sola categoria: quella dell’essere umano».

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