Diritti

La ricetta per essere felici

Senza troppe sorprese, per il settimo anno la Finlandia è sul podio del World Happiness Report: merito di politiche per l’uguaglianza di genere, fiducia nelle istituzioni e bassa corruzione
Credit: SaiKrishna Saketh Yellapragada 
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
9 aprile 2024 Aggiornato alle 06:30

La buona notizia per noi che non abbiamo più 20 anni è che, secondo l’edizione 2024 del World Happiness Report, la felicità nel corso della vita può essere rappresentata da una curva a U. Detto in altri termini: è alta quando siamo giovani e senza pensieri, diminuisce nella fase centrale della vita (quella in cui spesso affoghiamo tra problemi lavorativi, cura della famiglia, preoccupazioni economiche) e risale con l’aumentare dell’età. Come a dire che chi, come me, si trova nella fase centrale, non potrà che migliorare.

La brutta notizia, invece, è che non viviamo in Finlandia. Incredibile ma vero: è proprio la Finlandia a confermarsi, per il settimo anno di fila, in cima alla classifica dei Paesi più felici del mondo, secondo questa ricerca che viene condotta su oltre 140 Stati e pubblicata da Gallup, Nazioni Unite e Oxford. E, per stabilire il livello di felicità, considera 6 variabili: il Pil pro capite, l’aspettativa di una vita sana, il sostegno sociale, la libertà di fare le proprie scelte di vita, la generosità e l’assenza di corruzione. La rilevazione della felicità viene effettuata chiedendo a un campione rappresentativo di collocarsi tra un valore minimo e un valore massimo. E insomma, i finlandesi si sentono felici.

Dopo la Finlandia, a popolare le prime posizioni della graduatoria, si trovano Danimarca, Islanda e Svezia, confermando ancora una volta che il modello scandinavo funziona. L’Italia? Si colloca alla 41° posizione. Andiamo malissimo sulla corruzione e sulla generosità. Male anche sulla percezione della libertà di fare le proprie scelte. Insomma, c’è molto da migliorare.

E allora, quali sono i segreti della Finlandia? Cosa possiamo imparare? Stando ai dati, la felicità dei finlandesi si basa su un mix virtuoso di uguaglianza di genere, fiducia nelle istituzioni nazionali e nei propri concittadini e una bassa corruzione (tutti fattori, ahinoi rari, in Italia). Ah: secondo la World Population Review delle Nazioni Unite, il sistema educativo finlandese si colloca all’ottavo posto tra i migliori al mondo.

Il rapporto di quest’anno fotografa così un mondo spaccato, in cui a fronte dei soliti primi della classe, le disuguaglianze aumentano. Le persone giovani, di età superiore ai 25 anni, sono più infelici che mai. E del resto, come biasimarle? Stanno vivendo le loro vite passando da una crisi globale all’altra, lo spettro della recessione sempre presente, poche garanzie, poco futuro.

Le donne sono più tristi degli uomini: secondo la ricerca, esprimono con maggiore frequenza emozioni negative rispetto alla loro controparte maschile. E questa tristezza cresce con l’età (mi chiedo poi quanto questa rilevazione possa e debba essere depurata dalla differente educazione che donne e uomini ricevono rispetto alle emozioni che provano). Uniche eccezioni: Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda, dove le donne sotto i 30 anni hanno sempre più emozioni negative rispetto agli uomini, ma si collocano sotto la media mondiale e con una differenza che, nel caso degli anni, anziché esacerbarsi va ad attenuarsi.

E chi vive in un Paese povero diventa a ogni rilevazione meno felice rispetto a chi vive nei ricchi. Ma qui c’è un colpo di scena, perché aggiungiamo un ultimo elemento di riflessione.

I dati dimostrano che le persone sono più felici nei Paesi in cui la felicità è meno concentrata. Ovvero, quanto più le altre persone sono felici, tanto più lo siamo anche noi. Anche perché la disuguaglianza nella distribuzione della felicità riflette le disuguaglianze nell’accesso a tutti i potenziai strumenti di benessere: l’istruzione, la sanità pubblica e gratuita (o quasi), la fiducia, un ambiente sociale di supporto a livello famigliare, locale e nazionale.

Insomma, il benessere della singola persona va di pari passo con quello della collettività. Non sarebbe bello partire da qui?

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