Bambini

Periferie: tre giovani su quattro sono spaventati dal futuro

WeWorld ha chiesto a bambini e adolescenti dei quartieri periferici di Milano, Roma, Cagliari, Catania, Aversa quali sono i loro sogni, le paure, le aspirazioni. I dati del report Diritti ai margini
Credit: Verne Ho
Valeria Pantani
Valeria Pantani giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
17 aprile 2024 Aggiornato alle 15:00

“Come stai?”

È da questa domanda che l’organizzazione italiana indipendente WeWorld ha fatto partire la sua analisi sulla condizione dei minori nelle periferie italiane. Una domanda semplice, ma la cui risposta non è mai banale, soprattutto per quelle persone che vivono in contesti spesso considerati “ai margini”.

“Come stai?” è la domanda che WeWorld ha posto a bambini e bambine, ragazzi e ragazze tra gli 8 e i 19 anni residenti nelle periferie di 5 città dove l’organizzazione è attiva con i suoi centri: Milano (quartiere Barona), Roma (San Basilio), Cagliari (Sant’Elia), Catania (San Cristoforo), Aversa. L’obiettivo: capire quali sono le emozioni e le paure, ma anche i sogni, i desideri, le aspirazioni dei giovani dei quartieri considerati spesso “marginali” dal resto della società. E così è nato il report Diritti ai margini. Rimettere al centro il futuro di bambini/e e adolescenti delle periferie italiane.

Secondo Dina Taddia, Ceo di WeWorld, bisogna ribaltare la prospettiva sulle periferie: «A rischiare di rimanere indietro, intrappolate nell’immobilità sociale, sono infatti soprattutto le nuove generazioni».

Ma le periferie non sono tutte uguali: ci sono quelle geograficamente lontane dal centro della città, ma anche altre più vicine, come gli enormi complessi residenziali pubblici, oppure le piccole località di montagna. Realtà diverse, eppure uguali per certi versi: in queste zone ci sono poche opportunità formative, un fattore che incide negativamente sulle prospettive lavorative dei giovani. Ma il futuro di ragazze e ragazzi non dovrebbe essere mai determinato dal luogo in cui si nasce.

“Come stai?”: i dati del report Diritti ai margini

Felicità, rabbia, noia, ansia, confusione: sono queste le emozioni maggiormente provare tra gli under 19 delle periferie italiane coinvolti nei progetti di WeWorld. C’è chi prova soddisfazione per i rapporti con la famiglia (“molta soddisfazione” per il 55,5% dei ragazzi) e con gli amici (26,6%); tuttavia, c’è anche chi prova insoddisfazione, specialmente per la scuola: il 55,1% dei bambini tra gli 11 e i 13 anni e il 20,4% degli adolescenti tra i 14 e i 16 anni è “poco/per nulla soddisfatto” della scuola.

Ma cosa pensano del futuro questi ragazzi? Per 3 giovani su 4, il futuro spaventa e porta con sé sensazioni di ansia e inquietudine; ma, mentre il 28,2% si sente agitato, il 49,4% prova felicità, il 41,4% speranza, il 38,3% sorpresa. In particolare, oltre il 43% teme di non raggiungere i propri obiettivi nella vita, il 38% di non guadagnare abbastanza soldi per vivere senza preoccupazioni e il 28% di non trovare lavoro.

3 bambini su 4 tra gli 8 e i 10 anni, poi, si preoccupano per la condizione economica della propria famiglia: pensieri che possono essere “pesanti” per un minore e, a volte, portare a un calo del rendimento scolastico o all’abbandono della scuola per contribuire al reddito familiare.

«Il risultato è la creazione di un circolo vizioso in cui coloro che nascono in condizioni di vulnerabilità socioeconomica hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola, fatto che li rende più a rischio di disoccupazione e povertà - ha spiegato Taddia - percentuali molto elevate di abbandoni precoci si riscontrano laddove il livello d’istruzione e quello professionale dei genitori è più basso e nei nuclei con maggior deprivazione economica». Il rischio di povertà nelle famiglie in cui i genitori hanno al massimo la licenza media è del 10,9%; l’abbandono scolastico prima di aver ottenuto il diploma riguarda il 22,7% dei giovani di questi nuclei (contro il 5,9% di chi ha genitori che hanno terminato il liceo).

Le proposte di WeWorld

Dal report Diritti ai margini è emerso come le giovani generazioni delle periferie italiane provino un desiderio di riscatto, ma anche paura per la situazione economica della propria famiglia, insoddisfazione nei confronti del sistema scolastico: non a caso, per quasi il 20%, l’Italia non è un Paese che si occupa del futuro di bambini e adolescenti.

Per questo motivo WeWorld ha elencato alcune proposte per istituzioni, enti locali e comunità educanti per mettere al centro le esigenze e le aspirazioni di bambini e adolescenti che vivono nelle periferie.

1. Estendere l’obbligo di istruzione dalla fascia 6-16 anni a 3-18 anni “per ampliare i benefici dell’educazione a tutti i bambini/e, con conseguenze positive nel lungo periodo”.

2. Rivedere il calendario scolastico. Oggi, bambini e ragazzi vanno a scuola 9 mesi su 12: un’organizzazione che incide negativamente sui genitori (che, spesso, devono capire come conciliare la pausa estiva dei figli con il proprio lavoro) e aumenta il rischio di povertà educativa, soprattutto per i giovani che vivono in contesti fragili. “Chiediamo, dunque, di garantire l’apertura delle scuole anche nei mesi estivi, per assicurare continuità didattica e relazionale e prevenire l’abbandono scolastico”, fa sapere WeWorld che, per ribadire il concetto, rilancia nel report la petizione che a settembre ha promosso insieme al duo Mammadimerda per chiedere alle istituzioni di ascoltare le famiglie italiane e ripensare i tempi della scuola.

3. Rivedere gli orari di ingresso e uscita dagli istituti e il tempo pieno, “per una migliore conciliazione dei tempi scuola-lavoro”.

4. Introdurre un o una dirigente del “tempo extra-scuola” con il compito di potenziare l’offerta formativa e organizzare al meglio le attività extracurriculari, in collaborazione con le associazioni del terzo settore.

5. Rafforzare le competenze di cittadinanza digitale, affinché anche bambini e adolescenti acquisiscano competenze digitali di base, sviluppino una coscienza emotiva più attenta riguardo i limiti e le conseguenze delle relazioni online, ricevano gli strumenti per riconoscere le notizie false.

6. Istituire percorsi obbligatori di educazione sessuale, focalizzati sugli aspetti biologici e sulle dimensioni emotive e sociali della sessualità.

7. Insegnare lo sviluppo sostenibile, la cittadinanza digitale, l’educazione alla cittadinanza globale nella materia di educazione civica.

8. Prevedere in tutte le fasi dei processi decisionali una valutazione di impatto intergenerazionale delle politiche adottate e da adottare.

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