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Calcio femminile, Res Roma per l’inclusione delle periferie

La squadra (promossa in Serie B) «è stata fondata col sogno di dar vita a una realtà che facesse crescere le atlete e migliorasse il contesto di Tor Bella Monaca» ha spiegato il presidente Francesco Sortino a La Svolta
Credit: Res Roma Facebook
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
6 giugno 2023 Aggiornato alle 19:00

Si parla spesso di periferie. C’è chi le considera centrali per la propria campagna elettorale ma le frequenta con lo smarrimento tipico di quando si entra per la prima volta in un contesto sconosciuto, e chi le teme e si mantiene preventivamente alla larga.

Alla base di entrambi i comportamenti c’è spesso il pregiudizio che impedisce di sapere cosa succede veramente in questi luoghi e soprattutto di fare qualcosa per migliorare la vita delle persone che li abitano.

Lo sport è uno dei veicoli principali di riscatto delle periferie. Lo sa bene la squadra di calcio femminile Res Roma, da pochissimo promossa in serie B, che porta avanti un progetto molto importante non solo sotto il profilo sportivo ma anche sociale, nel quartiere di appartenenza: Tor Bella Monaca, periferia romana da sempre considerata “difficile”.

La Svolta ha intervistato il presidente della società, Francesco Sortino, che ci racconta come il calcio, a volte, possa cambiare le cose.

Come è nata la Res Roma?

La squadra esiste da molti anni ed è stata fondata da appassionati di calcio col sogno di dar vita a una realtà femminile ambiziosa che facesse crescere le atlete e migliorasse il contesto territoriale di Tor Bella Monaca. Grazie al lavoro di tutti la squadra col tempo è arrivata in serie A, riuscendo a starci per diversi anni e sviluppando parallelamente la formazione giovanile, vincitrice per 3 anni di seguito dello scudetto nazionale. Negli anni precedenti al Covid però la società non è più riuscita a far fronte alle spese necessarie per mantenere la squadra in serie A e ha venduto il titolo sportivo alla Roma.

La storia della Res però non era finita.

Affatto. Dopo la cessione il gruppo originario ha deciso di fondare una nuova squadra e ripartire da zero, ovvero dal campionato di eccellenza, vinto subito dalle ragazze, arrivate così in serie C. Dopo 2 campionati non esaltanti coincisi con il periodo pandemico la dirigenza ha chiesto aiuto a Linkem, l’azienda della quale sono Chief Marketing Officer, che ha subito risposto positivamente, anche in virtù dei solidi valori che la caratterizzano. Oltre ad aver già lavorato con società calcistiche in veste di sponsor e promotrice di progetti rivolti ai settori giovanili, opera infatti anche all’interno delle carceri di Lecce, Rebibbia e Cagliari, dove detenuti regolarmente assunti lavorano alla rigenerazione tecnologica di apparati che servono ai servizi Linkem.

Quali sono stati i primi passi nella Res?

Il nostro coinvolgimento non è solo economico ma anche operativo. Io ho assunto il ruolo di presidente e subito dopo insieme a tutto il team ho iniziato a lavorato sulla squadra, che quest’anno ha raggiunto la promozione in serie B. Un traguardo frutto dell’impegno di tutte le atlete e della capitana, Vanessa Nagni, diventata anche capocannoniere della stagione con 38 gol segnati. Oltre a essere una calciatrice molto forte, da tanti anni in forza alla Res, è mamma di un bambino che la accompagna agli allenamenti. Il progetto di questa squadra è nato proprio da lei, che da ragazzina voleva giocare a calcio con gli altri bambini ma i maschi glielo impedivano perché femmina, e che da grande è finalmente riuscita a coronare il suo sogno, in una realtà che punta a promuovere la gender equality in un ambiente calcistico che in Italia è ancora estremamente maschile e maschilista.

Quali sono i prossimi obiettivi?

Arrivare nel più breve tempo possibile in serie A ma il nostro progetto non è solo sportivo. Le ragazze si allenano e giocano alla Linkem Arena, nel cuore di Tor Bella Monaca, nel quale organizziamo diverse attività di inclusione e legalità. Questo quartiere è noto per essere uno dei più difficili della Capitale ma io credo sia anche uno di quelli con maggiori potenzialità di rilancio, sia a livello sociale sia economico, e anche noi vogliamo contribuire al suo miglioramento.

In che modo?

Partendo dalla scuola calcio solidale che quest’anno ha ospitato più di 130 tra bambine e bambini di tutta la zona. Molti vivono in nuclei familiari in difficoltà o in case famiglia e possono trovare grande giovamento dallo sport, inteso come veicolo di crescita e socializzazione. Sarebbe prevista una quota di partecipazione ma proprio per permettere a tutti i bambini di giocare, chi non può permettersela non la versa e ci pensiamo noi. Le porte della Res sono aperte a tutti e anche questa nostra vocazione probabilmente ci ha permesso di raggiungere un altro piccolo traguardo, diventare Academy della scuola calcio della Roma.

Non vi fermate qui però.

Assolutamente no. Lavoriamo anche su un progetto di Job creation, attraverso il quale offriamo a giovani donne e uomini la possibilità, dopo una formazione attenta e mirata, di lavorare all’interno del mondo Res ricoprendo diversi ruoli, dagli istruttori, ai preparatori atletici, fino agli animatori sociale. Si tratta di uno sforzo ingente che compiamo volentieri ma speriamo che ci affianchino presto altri soggetti pubblici e privati che condividano le nostre ambizioni e i nostri principi.

Rimanere competitivi nel calcio in Italia significa investire molti soldi. Questo almeno vale per il maschile, per il femminile è lo stesso?

Sì. Da poco il calcio femminile di serie A è diventato professionistico e questa svolta rappresenta una crescita importante per tutto il movimento ma nessuno deve rimanere indietro. Anche i costi delle serie B e C sono alti. A incidere sono tante voci, prima tra tutte le riqualificazioni degli impianti che spesso versano in condizioni critiche ma che sono necessari non solo per svolgere le attività sportive ma anche per organizzare eventi ricreativi e ludici e aiutare il territorio a evolvere. Il sistema non dovrebbe ragionare a compartimenti stagni ma in rete, stanziando investimenti economici che non si concentrino solo su alcuni. Altrimenti il rischio è che molte società gettino la spugna o lascino perdere la crescita sportiva e si accontentino di fare campionati minori. In questo momento il calcio femminile è privato della sua possibilità di sviluppo, nonostante siano sempre di più le bambine che lo praticano o vorrebbero farlo.

In Italia però è ancora visto come uno sport da maschi.

Perché sessismo e snobismo sono ai massimi livelli. Il calcio femminile è lo sport più praticato nelle scuole americane, nel Nord Europa ci sono squadre che hanno stadi di proprietà e non sono appendici di quelle maschili, mentre qui sembra che nessuno voglia accorgersi della sua esistenza.

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