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Il cervello umano può conservarsi fino a 12.000 anni

Grazie a un archivio di organi realizzato attingendo da reperti archeologici sparsi in tutto il mondo, un team di ricercatori ha scoperto che il cervello umano è l’unico tessuto molle a resistere tanto a lungo
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5 maggio 2024 Aggiornato alle 09:00

Secondo una nuova ricerca realizzata dal Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Oxford e pubblicata su The Royal Society - Publishing, i cervelli umani riescono a conservarsi anche per quasi 12.000 anni.

Il team guidato da Alexandra L Morton-Hayward ha condotto le proprie ricerche su un archivio di oltre 4.000 antichi cervelli umani ancora conservati, provenienti da ritrovamenti archeologici avvenuti in 213 luoghi in tutto il mondo, alcuni addirittura risalenti a circa 10.000 anni fa. Molti di questi cervelli si presentano con importanti variazioni di volume rispetto al momento della morte: ad esempio più di 500 ritrovati in un cimitero risalenti all’Antico Egitto erano ridotti di quasi due terzi.

Gli studiosi hanno identificato cinque processi che avrebbero portato i cervelli a conservarsi: la disidratazione, il congelamento, la saponificazione (un processo che trasforma il tessuto adiposo in una sostanza cerosa chiamata adipocera che modifica il corpo rendendolo untuoso e biancastro a causa della putrefazione), la corificazione (a causa di reazioni chimico-fisiche e di un processo simile alla conciatura la pelle acquisisce caratteristiche simili a quelle del cuoio) e un processo che scaturisce forse dalla sovrapposizione degli altri meccanismi.

Quest’ultimo è stato identificano nel 30% dei cervelli analizzati e riscontrato in contesti di conservazione molto diversi come tombe, tumuli ma anche in bare in legno e piombo. La particolarità di questa analisi ha mostrato che il cervello rappresenta l’unico tessuto molle conservato tra i resti scheletrati, il che suggerisce un meccanismo di conservazione particolare che preserva solo il sistema nervoso centrale.

Per cercare di comprendere questo meccanismo i ricercatori hanno messo in relazione il tipo di conservazione con la posizione geografica e climatica. I cervelli disidratati, che costituiscono la maggior parte di quelli analizzati, il 37,8%, sono stati individuati nei deserti caldi dove l’alta pressione costante e poche precipitazioni favoriscono questa conservazione. I cervelli corificati sono stati rintracciati in climi oceanici, così come anche la maggior parte dei cervelli saponificati (71%) e quasi la metà di quelli appartenenti alla nuova tipologia di conservazione.

Un ulteriore terzo del totale di cervelli conservati con questa modalità sconosciuta sono stati identificati in zone subtropicali umide dove a estati calde si alternano picchi delle precipitazioni: in generale quindi i cervelli che si conservano con questa nuova tipologia sono stati associati a zone in cui è più alta la precipitazione giornaliera media.

La scoperta ha quindi dell’incredibile non solo per i numeri, oltre 4.400 cervelli umani conservati, ma anche per l’arco temporale che arriva a oltre 12.000 BP (nell’articolo si utilizza la datazione Before Present utlizzata in archeologia e geologia oltre che in altre discipline scientifiche e misura la distanza di un evento da una data del “tempo presente” che corrisponde al 1950, quindi parliamo di 12000 anni prima del 1950, circa 10050 anni prima dell’anno zero) e soprattutto per la speciale tipologia di conservazione scoperta: i cervelli sono stati gli unici tessuti molli che si sono conservati.

I cervelli antichi possono fornire dunque nuove e uniche intuizioni paleobiologiche, aiutandoci a capire meglio la storia dei principali disturbi neurologici, la cognizione e il comportamento antichi e l’evoluzione dei tessuti nervosi e le loro funzioni.

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