Diritti

Congedo di paternità: 10 giorni non bastano a 3 uomini su 5

I papà hanno il diritto di assentarsi dal lavoro per quasi 2 settimane (retribuite) nei 2 mesi precedenti al parto o nei 5 successivi; eppure, solo il 76% ne è a conoscenza. I dati dell’indagine di Valore D
Credit: Behzad Ghaffarian
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
19 marzo 2024 Aggiornato alle 16:00

Come ogni anno, la festa del papà è un’occasione per riflettere come sta cambiando la figura del padre e quanto, ancora nel 2024, la cura dei figli sia ancorata a ruoli di genere stereotipati in cui la donna sta a casa a “fare la mamma” e l’uomo-breadwinner si avventura nel mondo per portare a casa la pagnotta a suon di avanzamenti di carriera. Da questo punto di vista, la riflessione sul congedo di paternità è una prospettiva privilegiata per capire se e come le cose stanno cambiando, e in che misura.

Dall’agosto 2022, i padri devono assentarsi per 10 giorni (retribuiti), anche non continuativi, entro un arco temporale che va dai 2 mesi precedenti alla data presunta del parto ai 5 successivi. Non è (o non dovrebbe essere) è una possibilità offerta solo ai neopapà pieni di buona volontà, ma un diritto e un dovere (o almeno dovrebbe esserlo) che le aziende sono obbligate a garantire ai loro dipendenti.

Il decreto legislativo 30 giugno 2022, n. 105, all’articolo 27 bis stabilisce che “Il padre lavoratore, dai due mesi precedenti la data presunta del parto ed entro i cinque mesi successivi, si astiene dal lavoro per un periodo di dieci giorni lavorativi, non frazionabili a ore, da utilizzare anche in via non continuativa. Il congedo è fruibile, entro lo stesso arco temporale, anche in caso di morte perinatale del figlio”.

Secondo i dati Inps, però, nel 2022 ne ha usufruito il 64,07% dei lavoratori. Certo, un numero più alto rispetto alle percentuali degli anni precedenti (in cui era ancora più ristretto: 1 solo giorno fino al 2020, 7 dal 2020 al 2022) ma comunque ben lontano dal totale. Senza considerare i lavoratori a partita Iva, che hanno un indennizzo economico ma non rientrano nel congedo parentale vero e proprio.

Il dato non dovrebbe stupire, non solo se pensiamo che in moltissimi ambienti di lavoro il giudizio verso chi decide di usufruirne è ancora molto duro e stereotipato (e che ancora il nostro Paese etichetta come “mammi” gli uomini che si prendono cura dellǝ propriǝ figliǝ) ma soprattutto se consideriamo che non tutti conoscono la sua esistenza: ne è a conoscenza il 76% degli uomini e il 72% delle donne. Solo il 13% (e il 14% delle donne) ne conosce i dettagli.

Ribaltando le percentuali, questo significa che quasi 3 uomini su 10 non sanno nemmeno che devono assentarsi dal lavoro e che quasi 9 non sanno con precisione come funziona questo particolare tipo di congedo.

A dirlo è l’indagine Cosa ne pensano gli italiani del congedo di paternità realizzata dall’Osservatorio D, un progetto di ricerca e di monitoraggio dell’opinione pubblica frutto della collaborazione tra Valore D e Swg, in occasione della festa del Papà, che ha approfondito la tematica dei congedi parentali e i sentimenti che caratterizzano uomini e donne quando si parla di paternità.

Dall’indagine emerge anche un altro dato: una volta spiegato il funzionamento del congedo, 3 uomini senza figli su 5 dichiarano che un congedo di 10 giorni non è sufficiente e vorrebbero “che fosse esteso a un periodo da 1 a 3 mesi, in modo da essere più presenti alla nascita (per il 38%) ed equiparato al congedo di maternità per il restante 24%”.

Sicuramente un cambiamento positivo e un trend che, anno dopo anno, mostra un coinvolgimento sempre maggiore. Proviamo, però, a ribaltare di nuovo le percentuali: 2 uomini su 5 (non un numero residuale, insomma) sono convinti che 10 giorni di congedo siano sufficienti. Non solo: a volere un congedo uguale per entrambi i genitori sono poco più di 2 su 10. A resistere è anche parte dell’opinione pubblica: secondo Osservatorio D, il 22% delle persone intervistate ritiene che il congedo di paternità “sia da limitare perché la cura del neonato è di esclusiva competenza delle madri nei primi mesi di vita”.

Ci sono però anche dei dati positivi: quasi l’80% degli uomini (lavoratori autonomi e/o laureati) dichiara il congedo di 10 giorni totalmente inadeguato e 7 persone su 10 (in particolare laureati, ceto sociale medio-alto) “concordano su fatto che il congedo di paternità rappresenta un cambiamento culturale positivo in termini di uguaglianza di genere a favore di un maggior equilibrio nelle attività di cura”.

Rimangono i timori, continua l’indagine, per il bilancio familiare (24%) ma soprattutto per la carriera. Di lui, ovviamente: un tema che preoccupa il 36% degli uomini intervistati. Una paura che, però, gli studi hanno dimostrato essere per lo più infondata: se le donne che hanno figli rimangono vittime della motherhood penalty, infatti, lo stesso non succede ai loro colleghi maschi, che hanno invece il vantaggio del fatherhood bonus. Alcune ricerche hanno dimostrato che per le lavoratrici ogni figlio si traduce in una disparità salariale compresa tra il 5 e il 20%. Per gli uomini, in aumento salariale di circa il 6%. Gli uomini non sono penalizzati se diventano padri: piuttosto, vengono loro offerti salari più alti rispetto ai loro colleghi senza figli.

«Questo studio ci fornisce dati molto incoraggianti sulla volontà dei padri di essere più presenti nel momento della nascita dei figli, ma allo stesso tempo rivela che c’è ancora molto da fare dal punto di vista culturale per scardinare quei timori che vedono nel congedo di paternità e di maternità un freno alla carriera - commenta Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D - Devono cambiare i riferimenti culturali, in questo il legislatore può fare molto prevedendo un’equiparazione dei congedi genitoriali, ma fino ad allora le aziende possono attivare policy che promuovono la genitorialità condivisa. Come associazione abbiamo da sempre incoraggiato la ripartizione più equilibrata dei carichi di cura».

Dopo il nulla di fatto della scorsa legislatura, in cui l’estensione del congedo di paternità a 90 giorni è sfumata, anche negli ultimi mesi le opposizioni sono tornate a parlare di congedo paritario, ma al momento nulla si muove.

A muoversi sono invece (e per fortuna) le generazioni più giovani, che anche se troppo lentamente stanno scardinando i ruoli di cura stereotipati: a ritenere che il congedo di paternità sia “un comportamento da incentivare per responsabilizzarli alla cura dei figli e per sviluppare un legame con la figura paterna” non solo solo il 67% delle donne, ma anche il 60% degli uomini nella fascia di età 18-34. Dove comunque rimane uno zoccolo duro del 40% di chi ritiene il contrario.

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