Diritti

Social freezing: che cos’è?

Le parole della modella Bianca Balti, che ha promesso di regalare il trattamento alla figlia Matilde per i 21 anni, hanno riacceso i riflettori su questa pratica. Ma come funziona? Quanto costa? Quali sono i limiti?
Credit: Nadezhda Moryak  

«Le ho detto: “Quando avrai 21 anni ti regalo il social freezing così almeno non ci pensi più, ti fai la tua vita e se dovessi avere una gravidanza, li hai già lì (gli ovociti, ndr)”». A parlare è Bianca Balti e la persona a cui fa riferimento è la figlia Matilde, oggi 17enne.

La modella, che tra qualche giorno compirà 40 anni, in una diretta Instagram con la Dr. Marina Bellavia ha parlato di crioconservazione degli ovuli e della sua esperienza personale, “una scelta che mi ha donato libertà, soprattutto nel mio caso di non rimanere in una relazione solo per paura di non poter avere la mia terza maternità. Un investimento che facciamo su noi stesse. Il fatto è che noi donne non siamo abituate a farlo senza sensi di colpa”.

Le sue parole sono state seguite – come spesso accade sui social – da un dibattito (qualcuno addirittura parla di “bufera”), tra cui spiccano i commenti delle tantissime donne che ringraziano Balti per aver parlato di quello che se non è un vero e proprio tabù è certamente ancora un argomento di nicchia e delle tantissime che fanno domande e chiedono informazioni.

Cerchiamo di fare chiarezza, partendo dall’inizio: che cos’è il social freezing?

Social freezing: cosa è?

Con il termine anglosassone social freezing si indica una tecnica (che rientra all’interno della procreazione medicalmente assistita) che prevede di sottoporsi a un trattamento di fertilità per poter estrarre ovociti che vengono criocongelati per poter posticipare la possibilità di cercare una gravidanza.

La fertilità femminile, infatti, diminuisce progressivamente al crescere dell’età o a seguito dell’assunzione di alcuni farmaci. Congelare gli ovociti permette di preservare ovuli più giovani da utilizzare in seguito durante un trattamento di Pma.

È possibile sottoporsi alla crioconservazione degli ovuli sia se si intende rimandare la genitorialità a un momento diverso – magari per ragioni economiche, lavorative o in attesa di un partner – sia se ci si è sottoposti a un percorso di procreazione medicalmente assisistita e si vogliono vetrificare gli ovuli che non vengono fecondati e impiantati o gli embrioni non impiantati.

Anche le persone che devono sottoporsi a trattamenti oncologici, a esempio la chemioterapia, possono decidere di ricorrere al social freezing così da preservare la propria capacità fertile. Anche le persone transgender possono accedere alla crioconservazione degli ovuli prima di intraprendere il trattamento farmacologico, così da preservare in alcune circostanze la possibilità di avere figliǝ in futuro.

Come funziona il social freezing?

Chi vuole sottoporsi a un trattamento di social freezing deve innanzi tutto sottoporsi alla cosiddetta “stimolazione ovarica controllata”, un trattamento che dura circa 9-12 giorni durante il quale vengono iniettati quotidianamente dei farmaci a base di gonadotropine che permettono di ottenere più ovuli da un singolo ciclo mestruale, invece di solo uno. Una volta maturi, gli ovuli verranno estratti attraverso una procedura chirurgica effettuata in day hospital, detta “estrazione ovocitaria”.

Gli ovuli idonei vengono quindi criocongelati in azoto liquido a bassissima temperatura (-196°) e appositamente conservati. Al momento di programmare una gravidanza, gli ovuli vengono scongelati, fecondati e gli embrioni ottenuti impiantati nell’utero durante una procedura chiamata “transfer” al termine di un trattamento farmacologico per preparare l’endometrio.

Social freezing: quanto costa?

Nella sua diretta, Bianca Balti ha detto che “sarebbe fantastico” se il social freezing “fosse gratuito per tutte, per non avere la pressione dell’orologio biologico. Nella vita bisogna pensare a che cosa è importante per noi”.

Come non darle ragione? Oggi il social freezing è una possibilità per poche: accessibile attraverso il sistema sanitario solo per motivazioni mediche, in tutti gli altri casi è costoso, spesso estremamente costoso.

L’importo esatto varia sensibilmente a seconda della struttura a cui ci si rivolge, ma i prezzi sono nell’ordine di circa 3.000€. A questo devono essere aggiunti il costo dei farmaci per la stimolazione ovarica (che varia a seconda del percorso personalizzato, ma anche in questo caso parliamo di diverse centinaia di euro) e del mantenimento annuale degli ovuli criocongelati, una cifra che si aggira intorno ai 300€ annui ma che può costare anche di più, anche fino a 500€.

Non tutte le strutture pubbliche offrono questa possibilità e in quelle che lo fanno si tratta di un percorso a pagamento: si va da 1.800 euro in Valle d’Aosta (più 450 per il congelamento del primo anno e 100 dal secondo) a 1.400 più il valore dei farmaci in Toscana (inclusa la conservazione fino a 40 anni) e in Trentino (qui 100 euro per ogni anno di conservazione) e tra 1.500 e 2.000 in Friuli (più 230 euro ogni 3 anni per il mantenimento).

Per questo molte aziende – Facebook e Apple per prime – hanno iniziato a offrire alle proprie dipendenti la copertura economica del social freezing, facendosi carico delle spese. Un gesto che molti hanno interpretato come una giusta battaglia per l’empowement femminile ma che sotto una luce meno rosea ha sollevato critiche di manipolazione, perché visto come un tentativo di tenere ancorata la forza lavoro posticipando (se non eliminando) gli spiacevoli effetti dei figli sulle donne, dal congedo di maternità alle necessità familiari negli anni seguenti.

La battaglia per portare alla luce un tema che è ancora troppo poco conosciuto è giusta e necessaria. Non possiamo però dimenticare che, oggi, questo è un lusso per poche. Soprattutto in un momento in cui la sanità pubblica scricchiola e la stessa procreazione medicalmente assistita è stata per anni una possibilità a macchia di leopardo sul territorio, in attesa del decreto attuativo che entrerà in vigore il 1° aprile, dopo l’approvazione dell’introduzione nei Lea approvata nel 2017.

Social freezing: una battaglia di libertà e autodeterminazione?

La risposta a questa domanda è duplice. Se, da un lato, non possiamo dire che sì, quella per una libera pianificazione della genitorialità è certamente una battaglia per permettere alle donne di poter decidere per sé, dall’altro non dobbiamo guardare il dito ignorando la luna di ostacoli che ancora oggi si frappongono alla possibilità delle donne di scegliere se, quando e come diventare madri.

Parlare di questa possibilità è necessario, ma è importante non farne uno spauracchio dell’emancipazione femminile dimenticando che oltre alla libertà di rimandare nel tempo la gravidanza dovremmo rivendicare l’eliminazione di pregiudizi, stereotipi e politiche che ci impediscono di scegliere davvero cosa è giusto per noi, e quando.

Che potremmo anche decidere di diventare madri oltre i 40 anni, ma se quando lo diventeremo intorno a noi ci saranno ancora asili nido come miraggi, motherhood penalty e gli altri gap di carriera e stipendio, genderizzazione del lavoro di cura e mancanza di strumenti a supporto della genitorialità (e non esclusivamente bonus one spot per “le mamme”) questa conquistata libertà sarà illusoria. Che, di nuovo, la responsabilità ricade esclusivamente nelle nostre mani – e nei nostri corpi – cancellando quelle responsabilità sociali e politiche che impediscono alle donne di avere pieno accesso alla propria libertà riproduttiva.

Social freezing: funziona?

Non possiamo dimenticare che spesso quando si parla di social freezing si tende a magnificarne i benefici, cancellando un aspetto di questo trattamento che non possiamo non prendere in considerazione per non dare un senso di falsa sicurezza che può essere pericoloso: non è una garanzia di avere unǝ figliǝ, ma un modo per aumentare le possibilità che una gravidanza si realizzi.

“Molte donne sono eccessivamente ottimiste riguardo alle loro possibilità di avere un bambino quando congelano i loro ovociti. Non è, come molti presumono, una polizza assicurativa”, ha spiegato al New York Times la Dottoressa Marcelle Cedars, presidente dell’American Society for Reproductive Medicine. Molto dipende dall’età a cui ci si sottopone al trattamento e dal numero di ovociti congelati, ma in nessun caso c’è una garanzia di successo.

I dati sono poco numerosi, ma secondo l’Aied se il tasso di sopravvivenza degli ovociti è circa dell’85%, la percentuale di fecondazione scende al 75%, mentre quella delle gravidanze da embrioni da ovuli criocongelati si attesta intorno al 15-20%. “Non c’è un bambino nel congelatore. C’è la possibilità di rimanere incinta”.

Infine, rimane il nodo incisività: oggi in Italia solo le coppie eterosessuali sposate o conviventi da almeno 2 anni possono accedere ai trattamenti di fecondazione assistita, che sono ancora preclusi a coppie omogenitoriali o single che, quindi, potrebbero congelare i propri ovuli ma non avere poi la possibilità di fecondarli e impiantarli.

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