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Social alla sbarra: il sindaco di New York fa bene (ma la soluzione è l’educazione)

La decisione di Eric Adams di portare in tribunale TikTok, Facebook, Instagram, Snapchat e YouTube tiene alta l’attenzione pubblica sugli enormi danni che le piattaforme provocano ai giovani. In primis dovrebbero intervenire le famiglie e la scuola, ma anche le istituzioni
Il sindaco di New York Eric Adams
Il sindaco di New York Eric Adams Credit: Lev Radin/Pacific Press via ZUMA Press Wire

Trascinare in tribunale TikTok, Facebook, Instagram, Snapchat e YouTube, colpevoli di aver provocato enormi danni ai giovani, in tutti gli Stati Uniti e in particolare a New York. Il sindaco della città, Eric Adams, ha annunciato la causa ai social media, depositata anche dalle istituzioni sanitarie cittadine.

La questione è, appunto, quella della salute mentale dei giovani, messa a rischio dalla manipolazione delle piattaforme online, dovuta a un uso strumentale degli algoritmi, e dal marketing aggressivo, con conseguenti sentimenti di ansia, angoscia, depressione e talvolta suicidi.

Quella della città di New York non è certo la prima causa intentata ai grandi social media, ma ovviamente è emblematica per la sua portata e per le possibili conseguenze in termini di immagine. Oltretutto, la città chiede ingenti risarcimenti perché il danneggiamento della salute mentale ha dei costi anche per le casse della città, quantificate in cento milioni di dollari l’anno.

New York chiede anche ai tribunali di imporre alle aziende misure più rigide, limitando il tempo di utilizzo e vietando contenuti dannosi così come algoritmi che creano dipendenza.

Richieste risarcimenti alle grande aziende, la tradizione statunitense

La decisione del sindaco di New York desta un certo stupore in noi italiani, così disabituati a richieste di risarcimenti e a far cause alle aziende, anche grandissime. Cause che invece la tradizione civile statunitense prevede, insieme alle class action di ogni tipo.

Chi ha vissuto per un periodo negli States sa che a volte arrivano nella cassetta postale risarcimenti per cause vinte da altri di cui nulla si sapeva. Ma la vittoria produce benefici a cascata su tutti quelli che, a esempio, fanno un acquisto poi legato a una class action vincente.

Si tratta di una cultura democratica notevole, mentre da noi il consumatore è solo, abbandonato, deve spesso lottare contro i mulini a vento per ottenere diritti minimi e sacrosanti. E questo produce, anche e al tempo stesso, una inerzia nel tentare cause o nel chiedere risarcimenti: siamo troppo convinti, noi italiani cittadini e consumatori, di non avere diritti, e finiamo per subire, per arrenderci, per tacere.

Tutti i rischi di una comunicazione “disincarnata”

Ma portare alla sbarra i social media ha senso? In fondo si tratta di strumenti, che possono essere utilizzati bene o male, esattamente come una macchina con la quale si può raggiungere in sicurezza una meta oppure ci si può schiantare. In verità non è proprio del tutto così.

Non c’è dubbio che il marketing dei social media produca veri danni in chi manca di consapevolezza, spingendo i ragazzi sia a comprare che a credere che solo comprando il prodotto perfettamente targettizzato per loro possano raggiungere la felicità. Sono strumenti, inoltre, estremamente veloci, che spingono gli utenti a dare reazioni emotive immediate, positive o negative. Questo, di nuovo, produce nei più ignari e fragili ansia e sentimenti negativi.

Infine, oltre alla enorme quantità di tempo che prendono, i social media sono l’esempio più evidente di una socialità senza corpo, disincarnata, ovvero senza emozioni profonde. È questo, soprattutto, ciò che provoca disagio mentale. Insultarsi guardandosi in faccia è radicalmente diverso dal farlo digitalmente. Perché nel primo caso si vede l’altra persona, il suo viso, le sue reazioni, il suo corpo, si ascolta la sua voce. Nel secondo, non c’è niente di tutto questo e ci si può avvitare in conversazioni violente senza fine. O si può essere vittime di cyberbullismo, che la maggior parte dei giovanissimi non sa gestire.

Una scelta che tiene alta l’attenzione pubblica sui danni

Ecco perché azioni come quella del sindaco di New York non possono che essere benvenute. Perché tengono alta l’attenzione pubblica sui danni dei social media, perché, soprattutto, esprimono una posizione di forza e di autorevolezza di fronte alle grandi aziende verso le quali, invece, nel nostro Paese noi siamo proni.

Non è vero che non si può fare nulla, non è vero che siamo costretti a subire i danni e questo vale non solo per i consumatori ma anche per la politica completamente succube delle aziende del digitale.

Insomma quella di Eric Adams è una scelta importante, se non altro perché rappresenta un precedente che poi altre amministrazioni potrebbero decidere di seguire. Ripeto, la differenza con il nostro Paese è lampante: immagineresti il sindaco di Roma Gualtieri o il sindaco di Milano Sala che intenta una causa contro le Big Tech? Al massimo, i nostri primi cittadini si farebbero sponsorizzare qualche progetto, di cui poi andare fieri. Davvero, l’America è lontana.

Se il problema sono anche i dispositivi

Nonostante, dunque, ci sia da sperare che iniziative di questo tipo si moltiplichino, la scelta della via legale suscita anche alcuni dubbi. Anzitutto, a essere colpevoli potrebbero essere allora non solo le aziende dei social media, ma tutti i produttori di strumentazioni digitali, dagli smartphone alle Playstation. I danni del digitale esistono e sono gravi anche se non si usano i social media, ma si tiene in mano uno smartphone collegato al web su cui si passa la maggior parte del giorno, specie se chi lo tiene in mano è un bambino di 9-10 anni.

Ormai lo sappiamo e lo vediamo ovunque. I bambini con un cellulare in mano sono dappertutto e il fatto che non guardino più il mondo è straziante. Stesso discorso per le Playstation a cui i nostri figli stanno attaccati. Insomma, gli strumenti digitali sono tanti e sempre più pervasivi e se è vero che si tratta di strumenti di lavoro è altrettanto vero che provocano danni enormi su bambini e ragazzi.

Da questo punto di vista, l’assenza di regolamentazioni stringenti da parte delle istituzioni è inverosimile. Possibile che nessuno se ne occupi? Possibile che né il nostro Parlamento, né le nostre istituzioni in generale riflettano sui danni e impongano dei limiti?

Cito il caso virtuoso di San Marino, che sta per approvare una proposta di legge per vietare l’uso dello smartphone a bambini sotto gli 11 anni. Ti sembrerà poco, eppure oggi il telefono arriva con la prima comunione, quindi molto, molto prima.

Educazione, educazione, educazione

L’altro dubbio che la decisione di un’azione legale potrebbe suscitare è che non tutto può essere raggiunto…con un’azione legale. Se è pur vero, purtroppo, che sia i dispositivi fisici che i social media che vi sono installati sono strumenti potentissimi che in qualche modo di spingono con forza ad andare verso una direzione e che creano dipendenza (basti vedere la violenza che producono quando vengono vietati), resta sempre vero che si tratta di strumenti. E che quindi possono essere usati in modi diversi. Vale per noi adulti e vale anche per i ragazzi.

In questo senso, oltre ad aiutare a far conoscere i pericoli, serve soprattutto che l’intero mondo adulto non abdichi al proprio mestiere di educatore, ma anzi, lo sia tre volte tanto rispetto al passato. La famiglia, la scuola, le associazioni sportive hanno il compito di educare. Un verbo che ne contiene tanti, perché educare significa molte cose: curare lo sviluppo emotivo dei proprio figli, curarne anche lo sviluppo fisico, tenerli impegnati in altre attività, lasciare che escano di casa dando loro fiducia invece che tenerli sempre “legati” (perché comunque l’attaccamento al cellulare è soprattutto a casa), scegliere scuole con tempo pieno e così via; in generale creare un rapporto vivo e importante con loro.

Questa è la cosa fondamentale, ed è molto, molto impegnativa. Oggi c’è un motivo in più per farla, ed è proprio il sempre più sconfinato dominio della tecnica. Purtroppo, non tutte le famiglie hanno eguali strumenti, né forze, per fare tutto questo. Da questo punto di vista, sono i ceti sociali più deboli a essere più colpiti ed è soprattutto per loro che bisogna portare avanti importanti battaglie pubbliche.

Il fatto è che con l’intelligenza artificiale alle porte, anzi già dentro casa, sarà sempre più necessario curare rapporti, curare valori, mettere corpo e anima nelle relazioni con i nostri figli. Ma una cosa è sicura: nello sforzo educativo che tutti noi dobbiamo fare non c’è nulla da perdere. E soprattutto non è per forza una fatica: anzi, è un piacere enorme che, mentre protegge loro, arricchisce enormemente noi.

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