Bambini

Quasi la metà degli adolescenti britannici si sente dipendente dai social media

Secondo uno studio dell’Università di Cambridge il 48% dei giovani tra i 16 e i 18 anni pensa di aver perso il controllo sul tempo trascorso online
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Ron Lach 

    

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6 gennaio 2024 Aggiornato alle 18:00

I ragazzi e le ragazze di oggi si sentono dipendenti dai social. A dirlo è una ricerca condotta da un team di ricercatori dell’Università di Cambridge guidati da Amy Orben, che ha utilizzato i dati dello studio Millennium Cohort, che segue la vita di circa 19.000 persone nate nel 2000-2002 in Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord.

Quando il campione di persone scelto aveva tra i 16 e i 18 anni è stato sottoposto a domande sui social media. Secondo quanto riportato dal Guardian, delle 7.000 persone che hanno risposto, il 48% ha dichiarato di essere d’accordo o fortemente d’accordo con l’affermazione “Penso di essere dipendente dai social media”(57% delle ragazze e 37% dei ragazzi).

Quanto emerso dallo studio conferma una sensazione che molte persone vivono costantemente, ovvero quella di aver perso il controllo sull’uso dei media digitali interattivi, e si aggiunge al dibattito pubblico proprio mentre decine di Stati Usa stanno facendo causa a Instagram e alla sua società madre, Meta, accusandoli di aver contribuito alla crisi della salute mentale dei giovani, e mentre l’UE sta varando importanti riforme volte a dare ai consumatori un maggiore controllo sulle app per smartphone.

Secondo gli scienziati inglesi la risposta affermativa data dagli adolescenti non significa che questi soffrano effettivamente di una dipendenza clinica, ma l’espressione di una percepita mancanza di controllo suggerisce una relazione problematica: «non stiamo dicendo che le persone che dicono di sentirsi dipendenti lo siano davvero - ha dichiarato Georgia Turner, una laureata parte del team che ha condotto l’analisi. - La dipendenza dai social media auto-percepita non è necessariamente la stessa della dipendenza da droghe. Ma non è una bella sensazione sentire di non avere il controllo sul proprio comportamento. È piuttosto sorprendente che così tante persone si sentano in questo modo e non può essere una buona cosa».

La preoccupazione per la possibilità che le tecnologie digitali possano indurre comportamenti compulsivi è cresciuta, tuttavia, le prove alla base di queste preoccupazioni per la salute pubblica sono contrastanti: un recente studio sull’uso di Facebook ha messo in discussione le affermazioni secondo cui i social media sono psicologicamente dannosi e la classificazione clinica dei comportamenti legati alla tecnologia digitale rimane controversa tra gli esperti.

«La ricerca sui social media ha in gran parte ipotizzato che la cosiddetta dipendenza segua lo stesso schema della tossicodipendenza», ha affermato Turner. L’équipe di Orben e altre studiose e studiosi, sostiene che questa ipotesi sia probabilmente troppo semplicistica e sta cercando di capire se il comportamento di alcuni adolescenti in relazione ai social possa essere previsto da altri tratti della personalità. È possibile che per alcuni il rapporto sia simile a una dipendenza comportamentale, mentre per altri l’uso potrebbe essere guidato da un controllo compulsivo, altri ancora potrebbero fare affidamento su di esso per affrontare esperienze di vita negative e altri potrebbero semplicemente rispondere alla percezione sociale negativa di “perdere tempo” sui social media

Michael Rich, direttore del Digital Wellness Lab dell’ospedale pediatrico di Boston, ha dichiarato al Guardian che le ultime scoperte sono in linea con l’esperienza clinica del suo centro, secondo cui una parte significativa dei giovani è alle prese con un “uso problematico dei media interattivi”, ovvero un uso incontrollato di media interattivi di tutti i tipi, compresi i social media, ma anche i giochi, la pornografia e «l’abbuffata di informazioni - brevi video, blog e siti aggregati collegati all’infinito».

Secondo Rich questa tendenza è normalmente sostenuta da una lotta psicologica di fondo, con disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività, disturbo dello spettro autistico, ansia, depressione o altri disturbi dell’umore. «Questi giovani cercano l’interattività reattiva di altri esseri umani o bot AI come meccanismo di coping - ha dichiarato. - Quando identifichiamo e trattiamo il disturbo di base, l’uso problematico dei media interattivi si risolve spontaneamente o diventa trattabile con una modifica del comportamento».

Sul Daily Mail , Beeban Tania Kidron, una voce di spicco sui diritti dei bambini nel mondo digitale, ha affermato che le piattaforme sono state deliberatamente progettate per essere compulsive: «non è un bug, è una caratteristica. Il settore tecnologico si avvale di psicologi comportamentali che studiano i social media, i giochi, lo shopping e persino le notizie, per garantire che siano facili da accedere e difficili da abbandonare. Le aziende dovrebbero essere ritenute responsabili del risultato dei loro prodotti».

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