Bambini

Meta (di nuovo) sotto accusa: sfrutta la vulnerabilità dei bambini?

Secondo la denuncia dei Procuratori generali di 33 Stati, l’azienda avrebbe creato intenzionalmente prodotti dannosi, raccogliendo informazioni personali e ignorando consapevolmente la presenza degli under 13
Amina Filkins  
Amina Filkins  
Tempo di lettura 3 min lettura
12 dicembre 2023 Aggiornato alle 18:00

Nome utente, password, accedi. “Dimostra di avere più di 13 anni inserendo la data di nascita”. Negli Stati Uniti, infatti, questa è l’età minima stabilita dalla legge per potersi iscrivere e utilizzare i principali social network. Ma cosa accade quando non viene rispettata?

Meta torna nell’occhio del ciclone, sotto accusa da 33 Stati per aver violato la privacy dei bambini. Non solo: lo avrebbe fatto con l’aggravante dell’intenzionalità. La denuncia, presentata lo scorso 28 novembre dai procuratori generali e pubblicata dal New York Times, è chiara: il colosso dei social media, nonostante fosse a conoscenza di milioni di reclami per utenti minorenni su Instagram, non solo non ne avrebbe bloccato l’accesso, ma avrebbe tenuto nascosto l’accaduto. “All’interno dell’azienda, l’effettiva conoscenza che milioni di utenti su Instagram abbiano meno di 13 anni è un segreto che tutti conoscono, che viene regolarmente documentato e rigorosamente analizzato – si legge – Raccoglie abitualmente le informazioni personali dei bambini, come la loro posizione e gli indirizzi email, senza il permesso dei genitori, in violazione della legge federale sulla privacy del 1998, Children’s Online Privacy Protection Act”.

Tutto è iniziato in California, quando 31 Stati hanno presentato una causa federale con l’accusa a Meta di “aver ingiustamente intrappolato i giovani sulle sue piattaforme, Instagram e Facebook, nascondendo studi interni che mostrano i danni agli utenti”. Oggi, con l’ultima deposizione, l’imputazione si amplia aggiungendo nuovi dettagli. Sembra infatti che l’azienda fosse a conoscenza della presenza degli under 13, ne tenesse costantemente traccia, ignorasse le segnalazioni e consentisse loro di continuare a utilizzare la piattaforma.

I procuratori si concentrano sul fatto che siano stati creati intenzionalmente prodotti dannosi e capaci di creare dipendenza nei bambini, sfruttando la vulnerabilità della psicologia giovanile e la tendenza di essere guidati dalle emozioni piuttosto che dal pragmatismo. Non si tratta solo di accettare l’iscrizione di ragazzi troppo piccoli, dunque, ma di incoraggiarne un utilizzo compulsivo per assicurarsi la nuova generazione.

La risposta da parte del gigante dei social non è tardata ad arrivare. I dipendenti hanno cercato di giustificarsi aggrappandosi al fatto che, secondo loro, gli account siano stati ignorati perché non si poteva avere certezza che l’utente fosse effettivamente minore di 13 anni. “La verifica dell’età è una sfida complessa per i servizi online, noi per esempio adottiamo costantemente misure per rimuovere gli account dei minori quando li individuiamo”, hanno spiegato, suggerendo di spostare la responsabilità della sorveglianza dell’utilizzo da parte dei minori su App Store e parenti: “Servirebbe una legislazione federale per richiedere ai genitori l’approvazione di ogni applicazione scaricata dai figli sotto i 16 anni, anziché il solo inserimento dei dati personali”.

La denuncia, però, sostiene esattamente il contrario rispetto alle dichiarazioni di Meta.

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