Futuro

I social media e quella tristezza nei teenager

Sono due le fasi dell’adolescenza in cui i giovani sono più sensibili alle piattaforme virtuali: tra gli 11 e i 13 anni e intorno ai 19. Lo dice uno studio inglese decennale delle Università di Cambridge e Oxford
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2 aprile 2022 Aggiornato alle 17:00

Attenzione: l’uso prolungato e costante dei social network può provocare tristezza, malinconia e insoddisfazione, soprattutto tra gli adolescenti. Ma non si tratta degli unici effetti collaterali.

Ci sono due età che sono particolarmente portate a provare queste sensazioni: all’inizio della pubertà - tra gli 11 e 13 anni per le ragazze e tra i 14 e i 15 per i ragazzi -, e intorno ai 19. Lo ha rivelato uno studio decennale condotto dagli scienziati dell’Università di Cambridge, dell’Università di Oxford e del Donders Institute for Brain, Cognition and Behaviour, su 84.000 persone di tutte le età nel Regno Unito, pubblicato sulla celebre rivista scientifica Nature.

La ricerca pluriennale offre, secondo gli esperti, uno sguardo molto rigoroso sulla relazione tra i sentimenti dei giovani e i social media: nei due periodi emersi, l’uso pesante di queste piattaforme ha stimolato delle valutazioni più basse di “soddisfazione personale”.

Come altri studi precedenti, anche questo ha rilevato una debole correlazione tra il benessere degli adolescenti e l’utilizzo dei social, ma ha scoperto che esistono precisi periodi in cui questi sono più sensibili alla tecnologia. E, rispetto al passato, ha fatto emergere quanto fosse sbagliato raggruppare tutti gli adolescenti senza distinzione non solo di età, ma anche di sesso.

«Abbiamo considerato che questa relazione potesse essere diversa a seconda dell’età, e abbiamo scoperto che, in effetti, è proprio così», ha spiegato al New York Times la psicologa Amy Orben, dell’Università di Cambridge, che ha guidato lo studio.

Sono state condotte due distinte indagini, di una portata mai vista prima d’ora per uno studio simile: tra gli 84.000 partecipanti, una si è concentrata sui 17.000 adolescenti tra i 10 e i 21 anni, seguiti nel corso del tempo per analizzare quanto il consumo dei social media e i tassi di soddisfazione della propria vita cambiassero da un anno all’altro.

«Gli anni dell’adolescenza non sono come un periodo costante dello sviluppo della vita», ha spiegato al Nyt Jeff Hancock, psicologo comportamentale alla Stanford University, «portano con sé rapidi cambiamenti». Durante la prima fase, l’uso pesante dei social media ha portato a valutazioni di soddisfazione di vita più basse un anno dopo.

Per ragazze e ragazzi il periodo è stato diverso: per le prime tra gli 11 e i 13 anni, per i maschi tra i 14 e i 15. Questa differenza potrebbe derivare dal fatto che le ragazze tendono a raggiungere la pubertà prima dei ragazzi, ma potrebbero contribuire moltissimi elementi sociali, cognitivi e ideologici.

Per entrambi, però, senza alcuna distinzione, i 19 anni sono un periodo che li rende molto sensibili ai social. «Intorno a quell’età», ha commentato la dottoressa Orben, «molte persone passano attraverso grandi sconvolgimenti sociali - come iniziare il college, lavorare in un nuovo ufficio o vivere in modo indipendente per la prima volta - che potrebbe cambiare il modo in cui interagiscono con i social media».

Nonostante questo studio sia molto più completo dei precedenti, secondo gli esperti mancano ancora alcune informazioni che sarebbero utili a interpretare meglio i risultati: per esempio, i ricercatori hanno chiesto agli adolescenti quanto tempo avessero trascorso sui social, senza domandare come li avessero usati. Se distrattamente o in mezzo a un gruppo di persone, magari condividendone l’utilizzo. Oppure soli nella propria camera.

Questo e gli studi precedenti suggeriscono che, mentre la maggior parte degli adolescenti non è influenzata molto dai social media, un piccolo sottoinsieme potrebbe essere significativamente danneggiato dai loro effetti. Ed è impossibile prevederne i rischi per ogni singolo bambino.

Ma l’indagine ha anche scoperto che, per alcuni, i social possono essere un meccanismo di coping, ovvero un modo di reagire alle difficoltà: a prescindere dall’età, i partecipanti che si sentivano insoddisfatti delle loro vite hanno finito per passare più tempo sui social media un anno dopo. Questo dimostra che possono portare anche a eventi positivi, come a una maggiore connessione con gli altri, e stimolare più creatività, più padronanza delle tecnologie.

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