Diritti

Cedu: “carenze significative” nelle indagini delle autorità greche in un caso di stupro

Nel 2019 una turista denunciò un barista di Parga (località nel nord-ovest del Paese) per averla violentata. Cinque anni dopo, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che le indagini sono state inadeguate
Credit: Michael Wave
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
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16 febbraio 2024 Aggiornato alle 11:00

La Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) si è espressa su un caso che ha coinvolto le autorità greche e una turista britannica, che nel 2019 denunciò uno stupro: 5 anni dopo, il tribunale di Strasburgo ha criticato la Grecia per non aver condotto indagini efficaci e per aver violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare della donna.

La Corte internazionale, che si pronuncia sui ricorsi individuali o statali che riguardano presunte violazioni dei diritti civili e politici stabiliti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ha concluso che “l’incapacità delle autorità investigative e giudiziarie di rispondere adeguatamente all’accusa di stupro in questo caso ha costituito una violazione dei doveri dello Stato (‘obblighi positivi’) ai sensi degli articoli 3 e 8 della Convenzione”, spiega l’organo giurisdizionale nella sentenza emessa il 13 febbraio.

Il caso riguarda, appunto, la condotta delle autorità greche nel caso di stupro del 2019: la “signorina X”, così viene chiamata nel verdetto, aveva sporto denuncia per essere stata “violentata da un barista d’albergo nel settembre 2019, quando aveva 18 anni ed era in vacanza con sua madre” a Parga, una località nel nord-ovest della Grecia. Secondo la donna, all’epoca “il procedimento penale non aveva raggiunto gli standard richiesti” e le indagini erano state inefficaci.

All’epoca dei fatti, il barista in questione l’avrebbe spinta in una stanza del personale e aggredita sessualmente. Il giorno stesso, una volta presentata la denuncia, la donna ha sostenuto di non aver ricevuto alcuna informazione sugli esami medici a cui avrebbe dovuto sottoporsi e nemmeno sulla procedura giudiziaria da seguire. Secondo la sua testimonianza, le autorità l’avrebbero poi costretta a riconoscere l’uomo in un incontro faccia a faccia che l’avrebbe lasciata profondamente angosciata.

“Le sono stati prelevati campioni di sangue e un esame fisico condotto da un medico ha rivelato contusioni alle gambe, alle cosce e ai genitali e un imene perforato”, ha riportato il tribunale di Strasburgo, sottolineando le “significative carenze” dell’indagine dopo la presunta aggressione. Dopo la violenza, la donna è stata scortata in una stazione di polizia a Preveza, sulla costa occidentale della Grecia, dove ha dovuto firmare “documenti in greco”, senza che lei fosse a conoscenza del loro contenuto, dal momento che non conosceva la lingua del luogo.

Il presunto autore dello stupro ha negato le accuse, sostenendo che il rapporto sessuale era stato consensuale. Dopo essere stato trattenuto per 3 giorni è stato rilasciato in attesa del processo. Un anno dopo, il pubblico ministero ha considerato fondate le dichiarazioni del presunto stupratore e nel 2021 un tribunale locale ha concluso che non c’erano “indicazioni sufficienti per portare avanti l’accusa penale”. Tuttavia, “ha precisato che non dovevano essere addebitate spese alla “signorina X” poiché non era stato dimostrato che la sua denuncia fosse del tutto falsa, gravemente negligente o distorta”, riporta la piattaforma ECHRCaseLaw, che riassume le sentenze più rilevanti della Cedu.

Nel 2021 la donna ha inviato un’email all’ufficio del pubblico ministero in cui richiedeva tutti i registri della polizia e dell’ospedale e le informazioni sulla procedura per accedervi. Risposta: non avendo firmato i documenti necessari per costituirsi parte civile e non avendo pagato la relativa tassa, non era possibile ottenere il fascicolo del caso. Inoltre, il giorno dopo non si era nemmeno presentata a testimoniare davanti al giudice istruttore e non aveva nominato un avvocato che la rappresentasse.

Michael Polak, del gruppo di assistenza legale britannico Justice Abroad, che si è occupato del caso, ha dichiarato che per tutto il tempo, mentre nessun avvocato era disposto a rappresentarla in Grecia, la donna non è stata informata o tenuta al corrente del procedimento. Nel 2021, due anni dopo la presunta aggressione, la “signorina X” ha portato il caso davanti alla Corte di Strasburgo, la Cedu appunto: come riporta la sentenza, la donna sosteneva che le autorità avessero “violato il loro dovere di fornire una tutela legale effettiva e di proteggerla in quanto vittima di violenza di genere”.

In quella che Polak ha definito una «vittoria morale», riporta il Guardian, la Corte ha riscontrato una violazione dell’articolo 3 (mancanza di indagini efficaci) e una violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare). «Questa è una sentenza davvero importante per i diritti delle vittime di reati sessuali in Grecia e in tutta Europa - ha aggiunto il legale - La Corte non solo ha stabilito che le autorità non hanno condotto un’indagine efficace, ma ha anche rilevato che sono stati violati i suoi diritti di vittima di essere informata di ciò che stava accadendo. Questo caso dice che i turisti devono vedere tutelati i loro diritti quando avviene qualcosa di terribile come uno stupro».

Secondo il Governo greco, la donna aveva presentato ricorso fuori tempo massimo e le procedure legali erano state eseguite in modo meticoloso. Ma i 7 giudici che hanno esaminato il caso, che sono stati chiamati a esprimersi non sulla colpevolezza dell’uomo, ma sulla condotta delle autorità greche, hanno sottolineato che il ricorso è stato presentato meno di 6 mesi dopo aver appreso che non era stata mossa alcuna accusa nei confronti dell’uomo, e che “la natura intima dell’argomento, la giovane età della ricorrente e il fatto che affermasse di essere stata violentata mentre era in vacanza in un Paese straniero richiedevano un approccio sensibile da parte delle autorità”.

I funzionari, inoltre, non avrebbero nemmeno adottato misure per evitare che lei venisse ulteriormente traumatizzata. Carenze “significative” che hanno spinto la Cedu a dare ragione alla donna.

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