Diritti

Cedu: l’Italia ha violato i diritti di una bambina nata con Gpa

Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo le autorità italiane hanno impedito il riconoscimento legale del rapporto di parentela con il padre biologico, rendendo la bimba nata nel 2019 in Ucraina un’apolide
Credit: Sander Lanaerts
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
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2 settembre 2023 Aggiornato alle 07:00

Quattro anni. Una bambina è stata senza un’identità né dei genitori per quattro anni, per lo Stato italiano. Senza una patria, senza una tessera sanitaria, senza la possibilità di frequentare una scuola pubblica. Il suo caso, il “caso C.” è arrivato fino alla Corte europea per i diritti dell’uomo, a cui si sono rivolti il padre biologico L.B. e la madre intenzionale E.A.M. per conto della bambina. Il 31 agosto è arrivata la sentenza: la Cedu ha stabilito che l’Italia ha violato i diritti della piccola, nata nel 2019 in Ucraina con il ricorso alla maternità surrogata.

Le autorità italiane, secondo Strasburgo, avrebbero impedito il “riconoscimento legale del rapporto di filiazione con il padre biologico”, facendo di lei un’apolide, ovvero una persona priva di alcuna cittadinanza. L’Italia è stata giudicata “colpevole di aver violato il diritto alla vita familiare e privata della bambina”. Pena: una multa da 15 mila euro per danni morali e altri 9.536 per le spese legali sostenute dai genitori, che dovranno essere versati dalle autorità italiane.

La Corte ha stabilito che c’è stata una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sul diritto al rispetto della vita privata e familiare che “impone al diritto interno di offrire la possibilità di riconoscere il legame tra un bambino nato da una procedura di maternità surrogata effettuata all’estero e il padre intenzionale quando questi è biologico”. I tribunali, spiega la sentenza, “non sono stati in grado di prendere una decisione tempestiva per tutelare l’interesse della ricorrente a ottenere l’accertamento della filiazione biologica paterna”. Questo avrebbe mantenuto la bambina in “uno stato di prolungata incertezza sulla sua identità personale sin dalla nascita”. La Corte spiega anche che, “nonostante la legge italiana non consenta la trascrizione dell’atto di nascita per quanto riguarda la madre intenzionale, le garantisce comunque la possibilità di riconoscere legalmente il bambino attraverso l’adozione”.

Tutto inizia nel 2018: L.B. e E.A.M. “stipulano un contratto di maternità surrogata in Ucraina. “Un embrione ottenuto da un ovulo di una donatrice anonima e dallo sperma di L.B. viene impiantato nell’utero di una madre surrogata”, spiega una sintesi realizzata dalla Corte.

In un’intervista a Repubblica il padre spiega che C. nasce a Kyiv nell’agosto del 2019. Secondo le leggi ucraine, dove la gestazione per altri è legale, i bambini vengono riconosciuti con i nomi dei genitori italiani, quindi C. non prende la cittadinanza ucraina, ma il suo atto di nascita attesta il rapporto di filiazione con la madre e il padre. «Tornati in Italia chiediamo all’anagrafe del nostro comune di trascrivere l’atto di nascita ucraino, dove mia moglie, mamma intenzionale, e io, padre biologico, veniamo indicati come i genitori di Sonia (il nome è di fantasia, ndr). Il comune rifiuta. È l’inizio del nostro incubo».

I genitori fanno ricorso al tribunale di Vicenza contro il loro comune, nel 2020, mentre la bambina ha già un anno di vita ed è apolide, cioè priva di cittadinanza. Il tribunale li respinge in primo grado sulla base della sentenza della Cassazione del 2019, che ha sancito che trascrivere il genitore intenzionale (la madre, in questo caso) di un bambino nato da maternità surrogata sia contrario all’ordine pubblico. L.B. e E.A.M. non si arrendono: vanno in appello, chiedendo che venga riconosciuto il certificato di nascita della bambina registrando entrambi i genitori, ma che solo lui sia riconosciuto come padre biologico, in base al test del Dna.

La Corte d’appello di Venezia li respinge ancora “rilevando che la richiesta di trascrizione parziale formulata nella domanda cautelare era inammissibile in quanto la domanda nel procedimento principale riguardava esclusivamente la trascrizione integrale dell’atto di nascita di C.”. È un corto circuito: «Visto che la causa in primo grado era contro il parere del Comune, che aveva negato il riconoscimento di entrambi i genitori, la mia domanda di essere riconosciuto come unico genitore biologico, non è stata accettata», spiega L. a Repubblica. Così, il 21 settembre 2021, i due hanno fatto ricorso alla Corte di Strasburgo.

Tra 13 giorni, il 14 settembre, L. avrà un’udienza in tribunale per ottenere il riconoscimento di genitore biologico contro la sentenza della Corte d’Appello di Venezia. Se filerà tutto liscio, e se l’Avvocatura dello Stato non farà ricorso, la madre potrà procedere con l’adozione facilitata della bambina.

In una nota riportata dall’Ansa il legale della famiglia, Giorgio Muccio, ha detto che si augura che «il Parlamento voglia, in sede di approvazione del ddl 887 della Camera a firma Varchi e altri, approvare una norma che specifichi il diritto del minore e vedersi riconosciuto il rapporto con il genitore biologico, onde evitare che una situazione del genere abbia a ripetersi».

Inoltre, Muccio esorta il Parlamento ad aggiungere «un’ulteriore ipotesi di adozione in casi particolari, rispetto a quelle attualmente vigenti, in quanto i ritardi dei tribunale dei minori dipendono prevalentemente da norme in materia di adozione che non sono applicabili al caso dei nati da Gpa».

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