Diritti

Conferenza di Monaco: gli interessi nazionali sono più importanti della cooperazione tra Stati

Secondo il Rapporto sulla sicurezza 2024, i Governi sono diventati più competitivi: si guarda meno al “bene comune” internazionale per concentrarsi di più sui vantaggi interni che un Paese potrebbe ottenere
Credit: 1 / 1Adrián Santalla
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14 febbraio 2024 Aggiornato alle 12:00

La cooperazione internazionale è a rischio? È ciò su cui si interroga il Rapporto sulla sicurezza di Monaco 2024 in occasione dell’omonima conferenza che nei prossimi giorni vedrà radunati nella città tedesca i leader mondiali per discutere di sicurezza e difesa. Secondo le dinamiche analizzate dagli organizzatori del forum, i Governi transatlantici stanno diventando sempre più competitivi: anziché investire in un ordine internazionale da cui trarre benefici comuni, preferiscono dare la precedenza agli interessi nazionali.

A prevalere sarebbe una visione del mondo a somma zero, la convinzione cioè che il guadagno in termini economici o geopolitici di uno Stato comporti necessariamente uno svantaggio sullo stesso piano per un altro. Intanto i cittadini di tutti i Paesi del G7 intervistati per il Monaco Security Index 2024 contenuto nel rapporto si aspettano che la Cina e le altre potenze del Sud del mondo diventino molto più potenti nei prossimi 10 anni, mentre vedono i loro Paesi in una fase di stagnazione o di declino.

Il sondaggio ha rilevato anche che su 32 rischi percepiti in 11 Paesi, gli elettori europei sono sempre più preoccupati dalla migrazione causata dal cambiamento climatico e dalla guerra, nonché dalla minaccia del terrorismo islamico. Di fronte alle guerre in Ucraina, Medio Oriente e alle tensioni Sahel, il rapporto descrive una situazione in cui gli Stati di tutto il mondo tendono a perseguire la propria sicurezza economica piuttosto che la cooperazione internazionale, con una conseguente frammentazione dei flussi commerciali e di capitali in aree circoscritte.

Le conseguenze potrebbero riguardare anche le politiche climatiche. “I partner transatlantici dovrebbero avere forti incentivi a sviluppare un’agenda verde comune, dato il loro obiettivo comune di promuovere la decarbonizzazione riducendo al contempo i rischi della Cina. Tuttavia, i disaccordi sulle politiche industriali e commerciali hanno bloccato i progressi, e la finestra di opportunità potrebbe chiudersi presto” spiega il rapporto.

Le politiche per arginare il cambiamento climatico stanno inoltre alimentando il divario tra i dei Paesi ad alto e a basso reddito. Da una parte, come sostengono gli autori, “Dal punto di vista della quota di umanità che vive in povertà o soffre di conflitti prolungati, gli appelli a difendere l’ordine astratto basato su regole plasmate dall’Occidente e ad assumersi i costi che ne derivano sembrano stonati”; dall’altro, i Paesi poveri sfruttati perché ricchi di risorse utili alla transizione verde vogliono emanciparsi da questa condizione.

Per salvare l’agenda climatica senza schiacciare i propri partner, soprattutto africani, secondo il rapporto è necessario che Paesi ad alto reddito rafforzino “la resilienza delle catene di fornitura”. Devono cioè fornire ai Paesi a basso reddito alternative credibili aumentando gli investimenti, offrendo trasferimento di tecnologia e conoscenza e promuovendo lo sviluppo locale di misure adeguate.

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