Diritti

Guerre: è facile perdere il conto

Ti sei mai chiesto quanti conflitti ci sono nel mondo? Hai mai provato a cercarli su una cartina? Sono così tanti che quasi non ce ne rendiamo più conto. Le perdite sono umane, ma anche ambientali
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2 febbraio 2024 Aggiornato alle 06:30

Si perde facilmente il conto ormai. Anche a essere impeccabili, pronti a fagocitare qualsiasi notizia nell’attimo stesso in cui viene resa pubblica, anche a essere concentrati e attenti, anche ad avere le notifiche dell’app della Bbc attivate, si perde il conto.

Il numero delle guerre in corso, di quelle pronte a scoppiare e di quelle dimenticate, non rimane in testa. Si parla spesso di quelle che “incontriamo” più facilmente, tra una notizia e l’altra dei media. Per esempio, tra le più recenti, quella tra Hamas e Israele

Perciò, fatichiamo a tenere il filo di tutti i conflitti in corso, non prestiamo attenzione. Peggio, anche dopo averlo fatto, lasciamo che tutto sciami, svanisca. Com’è accaduto in Ucraina, sempre di interesse per l’Occidente europeo vista la vicinanza, ma via via meno osservata.

È diventata ordinaria la guerra. E non solo perché dopo 2 anni l’abbiamo inglobata nell’ordine del giorno, in quello che c’è, sta lì, come lo spread o il traffico del mattino, ma anche perché le guerre sono tante. Chi se lo può permettere, procede, skippa le notifiche degli attacchi.

C’è anche lo Yemen: ignorato per anni nonostante il numero terrificante di morti (233.000 al 2021 che, stando alle proiezioni Onu, dovrebbero raggiungere 1,3 milioni entro il 2030), ora è entrato nel cuore delle notizie da quando Usa e Uk hanno iniziato a colpire i combattenti Houthi, attivatisi con attacchi nel Mar Rosso in solidarietà alla Palestina.

Certo, si parla di bombe, tanto, ma non di quello che comportano. Si sa, le morti nel sud globale fanno meno notizia. Soprattutto se a farle è un esercito occidentale sceso in campo per solidarietà altrettanto occidentale e commerciale. Interessi che si traducono nella solita solfa della difesa dal “terrorismo”, un termine ombrello che nasconde le conseguenze formali derivate da questa etichettatura. Per esempio, nel caso Usa, le due sigle Fto - Foreign Terrorist Organization e Sdgts - Specially Designated Global Terrorists agiscono direttamente sulla considerazione internazionale e sui supporti umanitari, passibili di essere interrotti non appena Washington stabilisce la minaccia.

Swipe anche su questo e avanti la prossima notizia, possibilmente qualcosa di più vicino, più leggero. Nel mentre, però, la guerra non si ferma.

La crisi in Venezuela, pare storia vecchia, come pure l’escalation tra Narcos e Governo in Ecuador, assurta a notizia principale per poco e già dimenticata, perché una volta analizzato il narcogolpe ci si è resi conto che c’era un altro conflitto regionale degno di maggiore attenzione. Gli Stati Uniti, infatti, si stanno affacciando alla prima guerra civile riconosciuta dal 1865. Scrivo riconosciuta perché molte insurrezioni verificatesi nel corso del tempo sono state derubricate a temporanee rivolte, probabilmente perché erano compiute da persone povere afroamericane che rivendicavano diritti di base. Questa volta però è lo xenofobo Texas, supportato da quasi 25 governatori e quindi 25 Stati federali, nella sua lotta contro Washington.

La ragione del conflitto è da ricercare nel divieto imposto dalla Corte Suprema di usare filo spinato lungo la frontiera con il Messico a cui il Texas ha risposto con una presa di posizione radicale affermando che se l’amministrazione Biden non si curerà di proteggere i confini, lo Stato lo farà autonomamente. Ciò che preoccupa gli Stati corsi in supporto del Texas è la “minaccia per i cittadini americani costituita dall’immigrazione illegale, dall’ingresso di droghe illegali e terroristi”.

Spauracchi che esternalizzano i problemi sociali degli Usa e che garantiscono legittimità ad azioni che sono, semplicemente, il prodotto del razzismo statunitense. La tensione, nemmeno a dirlo, viene occhieggiata con favore da Putin e da Trump stesso che, in questo stallo, può trarre agile vantaggio elettorale.

E dunque, prestiamo attenzione, senza scomporci. Degli altri 45 conflitti in corso nel solo in Medio Oriente e in Nord Africa poco importa, soprattutto di quelli in Sahel, derivati dalla presenza militare francese ora ritirata. Una storia affine a quella afghana e a quella di molte altre zone che ora si ritrovano a mettere insieme i drammi derivati dal colonialismo militare.

Nel continente africano i conflitti attivi sono circa 35, in Asia 21, in America Centrale e America del Sud 6, in Europa almeno 3 (7, se si considerano guerre e occupazioni militari) di cui la maggior parte vedono attiva la presenza russa.

Taiwan sosta tra le elezioni, le intenzioni della Repubblica Popolare Cinese e il tira e molla di Washington; il Kashmir è teatro attivo di una triade che alterna conflitti esplosivi a lunghi stalli, le Filippine rimangono un’ambita meta turistica mentre il conflitto tra i gruppi imperversa sul territorio.

Come starci dietro, quindi. Come non perdere il conto, ma soprattutto, come non perdere la serenità che contraddistingue questo nostro lento procedere senza curarci di nulla, nemmeno del fatto che il mondo è in guerra.

Dopotutto, finché non si parla di guerra totale, finché non è il nostro territorio a essere colpito direttamente, la guerra diffusa può restare in secondo piano. Possiamo permetterci di perdere il conto, che questo sia del numero di conflitti o delle vittime che ne derivano. Restituite in numero, in somma di parti, fanno meno spavento. Invece che essere considerate singole vite, sono valutate all’ingrosso. E questo con le vittime umane: quelle non umane non sono nemmeno pensate.

Figurarsi poi il danno che i conflitti causano all’ambiente, rinforzando l’industria petrolifera, inquinando il terreno con sostanze capaci di permanere nel lungo periodo, accrescendo la presenza di gas serra nell’atmosfera e intervenendo direttamente sulla presenza di biodiversità. Tutto rimandabile.

Basta non tracciare una mappa dei conflitti, non contare, non guardare, non sentire, non ricordare. Il mondo però, rimane in guerra.

I conflitti nel mondo

Medio Oriente e Nord Africa: ci sono più di 45 conflitti a Cipro, in Egitto, Iraq, Israele, Libia, Marocco, Palestina, Siria, Turchia, Yemen e nel Sahara occidentale.

Africa: ci sono più di 35 conflitti in Burkina Faso, Camerun, nella Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, in Etiopia, Mali, Mozambico, Nigeria, Senegal, Somalia, Sud Sudan e Sudan.

Asia: ci sono 21 conflitti in Afghanistan, India, Myanmar, Pakistan, nelle Filippine e in Cina.

Europa: ci sono 7 conflitti (se si considerano anche le occupazioni militari) in Crimea, Transnistria (Moldavia), nell’Ossezia del Sud e nell’Abkhazia (Georgia), in Nagorno Karabakh (Azerbaigian) e Ucraina.

America Latina: ci sono 6 conflitti in Messico e Colombia.

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